Linguaggi Artificiali

di Robert Isenberg - traduzione di Gianluca Comastri per concessione di Helge Fauskanger

taH pagh taHbe'. DaH mu'tlheghvam vIqelnIS.
quv'a', yabDaq San vaQ cha, pu' je SIQDI'?
pagh, Seng bIQ'a'Hey SuvmeH nuHmey SuqDI',
'ej, Suvmo', rInmoHDI'?

[To be or not to be, that is the question.
Whether 'tis nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms against a sea or troubles,
And by opposing, end them?]

-William Shakespeare, Hamlet
Tradotto in Klingon da Nick Nicholas ed Andrew Strader [e lasciato intenzionalmente nela sua versione originale inglese, N.d.T.]

Introduzione: il Linguaggio Artificiale nel Contesto

          Lo studio del linguaggio artificiale non è facile.Le mire dei loro autori sono varie, talvolta dichiaratamente vacue. La maggior parte dei sistemi artificiali, una volta generati, non sono mai usati o rivelati ad alcuno tranne il creatore, e quindi possono a stento essere definiti linguaggi. Le caratteristiche distintive dei genuini linguaggi artificiali, codici e sistemi funzionali sono nebulose, ed identificarle spesso equivale a non afferrare il concetto.
          Una cosa importante da tenere in mente, comunque, è che quantunque i linguaggi artificiali siano artificiali, essi esistono. Assumere che un linguaggio artificiale sia illegittimo in quanto un singolo individuo o gruppo selezionato lo sviluppò non è soltanto semplificare la faccenda ma anche liquidare ogni rilevanza linguistica che può avere. Migliaia di parlatori di varii linguaggi artificiali tenderebbero a discodare con tale apprezzamento.
          Questo studio cerca di raggiungere due obiettivi: primo, definire ed identificare i linguaggi artificiali, differenziandoli dai linguaggi che potrebbero essere conseguentemente categorizzati. Secondo, analizzare il linguaggio artificiale in termini di origine, proposito, struttura, ed uditorio.
 

I: Definizione del Linguaggio Artificiale

          È maldestro alludere a qualcosa come più artificiale di un'altra cosa, ma in tal caso, la frase è appropriata.
          Una semplice definizione di un linguaggio artificiale è ogni linguaggio del quale lessico e grammatica furono sviluppati da una fonte individuale per suo stesso godimento. Fonte individuale si riferisce o ad un creatore o ad un corpo selezionato di creatori. Diversamente da un autentico linguaggio, il suo impatto emerge con relativa repentinità. Una grande lasso di tempo può trascorrere lungo il corso del suo sviluppo, ma quando è consegnato ad altri il linguaggio deve essere comunicativamente funzionale - i.e. il sistema può essere usato per convogliare molte idee.
          Un'altra qualificazione è inferita dalla definizione: il sistema è funzionale prima che vi sia alcun reale madrelingua. Il creatore è pressoché in ogni caso incapace di parlare il suo proprio linguaggio artificiale, e crea vocabolari e sistemi grammaticali ad un ritmo molto più veloce di quanto essi possano essere appresi ed impiegati.
          La definizione implica anche che mentre altri accanto al creatore siano capaci di apprendere un linguaggio artificiale, la ragione per cui è artificiale è in quanto esso è funzionale prima che sia un linguaggio. Definire un sistema come un linguaggio implica che vi sia più di un parlatore, il che suggerisce che tale tipo di sistema sia strettamente artificiale fin quando nessuno lo parla, ed un linguaggio appena la gente lo fa.
          Per suo stesso godimento non significa che il linguaggio non abbia un proposito, ma che il suo obiettivo non è dapprima ed innanzitutto ideologico. Linguaggi generati per propositi ideologici sono simili ma in ultimo differenti. Nel caso del Klingon e dell'Elfico, essi inizialmente servono a propositi letterari, ma in ambedue i casi i loro ruoli sono spesso mirati al loro tornaconto.
 

II: Identifcando il Linguaggio Artificiale

          Tre fattori determinano l'autenticità di un linguaggio artificiale: proposito, originalità, e dimensione.
          Il proposito del linguaggio è il segnale più chiaro. Da tale definizione, l'Esperanto non sarebbe considerato un vero linguaggio artificiale.
          È fuori di dubbio, a dispetto dell'anonimato della sua opera, che Ludovic Lazarus Zamenhof creò volontariamente il linguaggio Esperanto, pubblicando una grammatica ed un dizionario sotto il titolo Linguaggio Internazionale, Introduzione e Libro di Testo Completo. E sebbene la sua raramente menzionata consorte, Clara Zilbernik, lo assisté in tale avventura, il linguaggio può esser visto come artificiale al di sopra della pubblicazione.
          È anche chiaro, tuttavia, che la funzione dell'Esperanto non fu per il suo stesso diletto. L'Esperanto partì con l'intenzione di divenire "il linguaggio internazionale," e fu confezionato per garantire la sua facile acquisizione ai futuri studenti. La grammatica è deliberatamente semplice e flessibile, ed i vocaboli sono assolutamente fonetici. A dispetto delle difficoltà che pone ai non Europei (tali come le lettere romane), il suo proposito è di servire una reale comunità divenendo un reale linguaggio.
         Il linguaggio che lo ispirò, il Volapük, è un caso differente. Il suo creatore, un prelato Bavarese a nome Johann Martin Schleyer, "basò [il Volapük] a briglia sciolta sui linguaggi Germanici e Romanzi." Quanto al proposito, il Volapük "aveva una complicata grammatica con forme verbali senza fine. L'alfabeto non aveva la r, ma includeva le difficili vocali tedesche ä, ö, e ü. I Vocaboli parevano sgraziati e suonavano aspri, essendo stati frequentemente alterati ed accorciati tanto da rassomigliare a stento alle forme naturali da cui erano derivati."
          Ma è precisamente tale varianza dai linguaggi esistenti che rende il Volapük un linguaggio più pienamente artificiale. Dove il vocabolario Esperanto è chiaramente basato sui linguaggi indoeuropei (e.g. Halo = Hello, grava = importante, barbaro = barbaro), il Volapük deforma i vocaboli in modo da estraniarli dai moderni linguaggi. I modelli di grammatica sono complessi non per il diletto del discente, ma per il suo proprio godimento. Questo è dove l'originalità gioca un ruolo chiave: un linguaggio artificiale può essere basato su altri linguaggi, ma non così significativamente di quello che sia percepito o come un pidgin o un dialetto artificiale. Come per l'Esperanto, il sistema è troppo complesso per essere considerato un codice, ma esso idealmente serve come un'unica congiunzione di pidgin e lingua franca - una mutua miscelatura di linguaggi esistenti che alcuno può usare. Ciò è evidenziato dal suo metodo di incorporazione lessicale: "Una regola prevede che i vocaboli 'forestieri', quelli che la maggior parte dei linguaggi hanno preso da una fonte comune, appaiono invariati in Esperanto eccetto che per l'ortografia."
          Anche la dimensione di un linguaggio è importante. Ciò non significa soltanto quanti vocaboli esistono nel linguaggio artificiale, ma anche quanto può effettivamente essere detto: linguaggi che difettano di sistemi numerici o regole per certe situazioni sintattiche potrebbero rendere molte idee inesprimibili.
          Tale fattore è il crollo di molti linguaggi sviluppati per circoli letterari e di intrattenimento: mentre essi esistono per loro propri propositi ed includono originali grammatiche e vocabolari, vantano solamente poche centinaia di vocaboli ed un imprecisa, talvolta non esistente grammatica*. Secondo Jeffrey Henning, editore della newsletter elettronica Model Languages, "più ambizioso ancora è un linguaggio che è effettivamente inteso come adoperato per comunicare. Un tale linguaggio richiede un vocabolario di almeno 1,000 o 2,000 vocaboli ed una dettagliata grammatica."
          Egli raffronta l'autore Harry Harrison come creatore del linguaggio Sauriano, il quale consisteva solo dei vocaboli bastanti a soddisfare la sua novella, West of Eden. Ciò può a malapena essere considerato un linguaggio artificiale, dacché non può esprimere alcuna idea eccetto quelle espresse nel libro. Egli menziona anche il Nadsat di Anthony Burgess, il dialetto inglese fittizio di A Clockwork Orange. "Il lettore stesso trova di apprendere il linguaggio nel leggere ciascuna pagina," osserva Henning. "Apprendimento mediante immersione. Il Nadsat ha circa 300 vocaboli."
          Henning non opera coi linguaggi artificiali, comunque: è più interessato ai linguaggi modello, i quali sono simili nel senso che l'Esperanto potrebbe essere giustificato come un linguaggio artificiale. I linguaggi modello, spiega, sono "ogni cosa da pochi vocaboli di gergo inventato ad un rigorosamente sviluppato sistema di lingue immaginarie interrelate." Mentre quest'ultimo potrebbe essere concepito come un linguaggio artificiale, il precedente è probabilmente troppo limitato per attagliarsi alla definizione. Il proposito del linguaggio non è ideologico, siccome esso è più che un hobby, ma il linguaggio cessa d'esistere una volta che il creatore perde interesse.  

* L'originale doppio riferimento è semanticamente contraddittorio, N.d.T..

III: Effettivi Linguaggi Artificiali

          Nel suo saggio sul potenziale linguistico della fantascienza, l'autrice Suzette Haden Elgin descrisse il genere come "un laboratorio per esplorare soluzioni linguistiche... Poiché la maggior parte degli esperimenti che coinvolge il linguaggio non può farsi nel mondo reale -per ragioni etiche- siamo fortunati ad avere la fantascienza. Ci dà un laboratorio per 'esperimenti di pensiero' ove sia lo scrittore che il lettore può testare le cose a lungo ed osservare quel cha avviene."
          È facile da spiegare, quindi, perché i due più popolari linguaggi artificiali sono derivati fantascientifici: il Klingon e l'Elfico.
          Il Klingon è il linguaggio di una immaginaria razza aliena nella serie televisiva Star Trek. La specie è aggressiva, biliosa, e guerrafondaia. Mentre la serie televisiva scorreva per due decenni senza un linguaggio Klingon ufficiale, il linguista Marc Okrand si era dedicato alla sfida di sviluppare non solo abbastanza frasi per ottemperare alle richieste della sceneggiatura, ma di disegnare un completo vocabolario ed una grammatica. Una volta finito, il linguaggio fu pubblicato nella sua interezza come il Dizionario Klingon. Secondo il Klingon Language Institute, circa un migliaio di persone di oltre trenta nazioni hanno verificabilmente appreso il Klingon dalla pubblicazione del dizionario nel 1985.
          L'Elfico consta effettivamente di due linguaggi, Quenya e Sindarin, i quali servono come il linguaggio degli Elfi nel Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien. Tolkien cominciò a creare quelli che sono stati sopra descritti come linguaggi modello, il suo "vizio segreto." Alla scuola elementare egli avrebbe creato, con l'aiuto dei suoi amici, l'Animalico (un codice) ed il Nevbosh (un linguaggio modello). Il Nevbosh "era principalmente una mistura di parole inglesi pesantemente distorte, francesi e latine. Esso non rappresenta una reale rottura rispetto all'inglese o ad altri normali linguaggi."
          Quando iniziò a trafficare con l'Elfico, Tolkien generò i due linguaggi artificiali in un lungo periodo di tempo, generandone struttura fonetica, sistemi di scrittura, e grammatica. Secondo Tolkien, l'Elfico "era inteso a (a)divenire in definitiva di uno stile e struttura di tipo europeo (non nei dettagli); e (b) divenire specialmente piacevoli. Il primo obiettivo non è difficile da raggiungere, ma il secondo è più difficile, causa personali predilezioni individuali, specialmente nella struttura fonetica del linguaggio, immensamente variabili." Quenya e Sindarin seguono i modelli finnico e gallese, rispettivamente, ed incorporano radicali da vocaboli indoeuropei, ma la maggior parte del vocabolario (diverse migliaia di vocaboli) è di sua propria invenzione.
 

IV: Klingon

          Nei miti di Star Trek, il linguaggio Klingon è un antico organismo ed un simbolo d'orgoglio per la comunità. La loro cultura e valori preoccupano costantemente i Klingon, a dispetto della loro tradizione bellicosa. Il loro linguaggio è gutturale, incostante, ed atonale. La struttura grammaticale consiste di affissi decorati; una pausa glottale fuori posto oppure una sillaba extra potrebbero rendere incomprensibile una proposizione funzionale. bel, essere soddisfatto, cambia in mubel, essi mi soddisfano, in mubellaH, essi possono soddisfarmi, in mubellaHtaH, essi sono ancora in grado di soddisfarmi, e così via. Un'intera proposizione potrebbe consistere di un vocabolo e tutti gli appropriati affissi:

mubelnISlaHbejtaHbe'
Essi chiaramente non sono più tenuti a soddisfarmi

          I critici reclamano che mentre il linguaggio è funzionale, non ha valore estetico, il quale, presumibilmente, non è affare dei Klingon. Le H, Q, e q profondamente gutturali rendono il linguaggio sgrtadevole all'orecchio, e le frequenti pause (denotate da un apostrofo) rallentano considerevolmente il Klingon.
          Ciononostante, il Klingon ha mostrato il suo valore. Il Klingon Language Institute emette un giornale trimestrale (HolQeD) che "include colonne, articoli, interviste, e lettere che esplorano il linguaggio Klingon." Nastri di conversazioni sono disponibili per i parlatori fiorenti, come pure il (lievemente satirico) Klingon for the Galactic Traveler, di Marc Okrand. Quest'ultimo millanta informazioni sui "dialetti regionali dell'Impero" e "opportuni responsi verbali, fisici, e culturali." Tali informazioni sono un seguito all'asserzione del Dizionario che mentre "vi è un gran numero di dialetti del Klingon... soltanto uno dei dialetti, quello del presente imperatore Klingon, è rappresentato in tale dizionario." Naturalmente alla pubblicazione del Dizionario, non vi erano tali dialetti, in quanto non vi erano effettivi parlatori di Klingon. Nessun dialetto materiale si era o evoluto nel corso di migliaia di conversazioni Klingon, o era cautamente emerso dall'immaginazione di Okrand.
          Gli entusiasti del Klingon sono ora così intrigati dal linguaggio che certe pagine web, tali come quella appartenente a ToDbaj, "un Klingon fuori dal seminato," possono essere viste o in Klingon o in inglese. I contributi vengono costantemente resi nel lessico Klingon, molte centinaia dei quali sono elencati nella sezione Additional Canon Words della pagina web KLI. Da sole queste appendici forniscono un patrimonio d'informazione circa le nuove voci: butlh, o sporco sotto le unghie, HuchQed, o economia, e pure alcuni termini volgari (ngech può indicare o vallata oppure l'incavo fra i seni, in dipendenza dal suo uso).
          Quando esattamente un linguaggio artificiale divenga un autentico linguaggio è impossibile a dirsi. Certamente vi è un numbero di autoproclamati Klingon comparabile a quanti sono i parlatori di Gaelico, ma se il Klingon guadagni legittimità dipende primariamente dal fatto che possa prendersi seriamente.
          I suoi sforzi alla serietà sono riassunti nel materiale letterario con cui oratori e traduttori hanno dato contributi al mondo Klingon. Mentre le serie televisive ed i film forniscono gran copia di fantasie Klingon, e mediante ciò molte opportunità scritte di espandere saggezza e folklore della razza Klingon, diversi oratori hanno preso a tradurre il corpus letterario inglese. I due più famosi sono il progetto Hamlet ed il Book of Paul.
          Entrambe le traduzioni giungono da Nick Nicholas ed Andrew Strader, che hanno già mandato a buon fine la pubblicazione dello Hamlet in forma "Klingon originale", Mentre questo è un esteso trastullo basato su una riga nel sesto film di Star Trek, il progetto stesso è preso sul serio da ogni altro maggior progetto di traduzione. Pure i linguisti fronteggiano problemi che si porrebbero linguaggi non artificiali, tali come tradurre la parola Dio. I Klingon non sono certamente atei, dato l'alto livello di dignità spirituale che dimostrano nel programma, ma un'effettiva divinità non è mai menzionata. Pertanto i traduttori saziarono il saggio chiamandoLo joH'a' 'e', o Grande Signore.
          Di nuovo qui c'è un esempio di come la linea di confine tra artificiale ed autentico divenga vaga: Star Trek non ha mai rimandato, in tutta la sua storia, alla Cristianità o a Cristo. Mentre i personaggi spesso riferiscono di autori "secolari" (Shakespeare, Melville, Goethe), la religione è trattata solo brevemente nelle comunità aliene. Pertanto sembra che tradurre la Bibbia sia più importante per i parlatori di Klingon (ossia, i reali parlatori di Klingon al mondo) di quanto sia rilevante per la mitologia di Star Trek.
 

V: Quenya e Sindarin

          Mentre Marc Okrand fu incaricato di prender parte al progetto Klingon, Tolkien non ebbe tale motivazione. I suoi metodi di costruzione del linguaggio erano personali.
          Nell'articolo di Helge Fauskanger, "Il vizio non troppo segreto di Tolkien", egli riferisce che Tolkien compì "simulate modifiche entro la storia immaginata." A tutta prima sembrerebbe irrilevante che Okrand non creò l'universo di Star Trek, che l'intero fenomeno Star Trek sia generalmente attribuito allo scrittore/regista Gene Roddenberry, mentre Tolkien foggiò il suo linguaggio in un mondo di sua propria creazione. Essi sono entrambi, dopotutto, mondi fittizi.
          Ma diversamente da Star Trek, ove il linguaggio s'attaglia alla cultura, Tolkien scrisse in una delle sue lettere che "Nessuno mi crede quando dico che il mio lungo libro è un tentativo di creare un mondo in cui una forma di linguaggio accettabile dal mio personale senso estetico possa sembrare reale. Ma è vero." Nel suo libro, The Monsters and the Critics, Tolkien approfondì questo punto: "'se si costruisce un linguaggio artefatto secondo principi scelti", si possono scrivere poesie in quel linguaggio - "così come sono fissati, e nel coraggioso rispetto delle proprie regole, resistendo alla tentazione del supremo despota di alterarle."
          Quindi non vediamo un linguaggio che emerge dopo i fatti, ma un linguaggio ed una cultura che maturano simultaneamente. I popoli della Terra di Mezzo di Tolkien, vivono nelle loro varie nazioni, ciascuna ha una lunga storia, dettagliata intimamente nel suo Silmarillion. Come il linguaggio evolvette nella mente di Tolkien, altrettanto fece la cultura della Terra di Mezzo. Un'infarinatura di poesia Quenya e Sindarin colora le pagine del Il Signore degli Anelli.
          Ancora una volta diversamente da Okrand, Tolkien compilò un elenco di etimologie ma nessun dizionario tipo o blocco grammatico. Ne Il Ritorno del Re, egli somministrò una guida alla pronuncia e qualche osservazione sulle Tengwar, un alfabeto della Terra di Mezzo, ma prevalentemente soltanto i poemi sparsi rivelano i linguaggi della Terra di Mezzo in uso. Frammenti di altri linguaggi (più modelli che artificiali), tali come l'Ovestron e l'Entese, fanno occasionale debutto, ma non sono per nulla così sviluppati o significativi per il milieu di Tolkien.
          Un'altra caratteristica dell'Elfico è l'evoluzione del linguaggio entro il contesto delle novelle. Fauskanger osserva che il Quenya e l'antecedente Qenya, entrambi pronunciati allo stesso modo, rappresentano differenti stadi del medesimo linguaggio. Egli cita un primevo poema Qenya e lo compara ad una più tarda interpretazione Quenya dello stesso poema:

QENYA                                                  QUENYA
Man kiluva lómi sangane                    Man kenuva lumbor ahosta,
telume lungane                                      Menel akúna,
tollalinta ruste,                                      ruxal' ambonnar,
vea qalume,                                            ëar amortala,
mandu yáme,                                          undume hákala
aira móre ala tinwi                                enwina lúme elenillor pella
lante no lanta-mindon?                        talta-taltala atalantië mindonnar?
 
          Tale poema rappresenta una sorta di evoluzione interiore, mediante la quale il linguaggio stesso si modificò nel tempo, come un autentico linguaggio, come un risultato di locutori fittizi.

VI: Il Quenya come Autentico Linguaggio?

          Dopo la morte di Tolkien, lo studio dell'Elfico (sia Quenya che Sindarin) divenne popolare. Il Quenya è chiarament il più popolare, ma chi parla ambedue i linguaggi correntemente sostiene chat-rooms, programma conferenze, e, come sarà discusso più avanti, crea liste di E-mail per la discussione dei linguaggi di Tolkien.
          Diversi dizionari Quenya e Sindarin sono stati compilati - alcuni più autorevoli di altri - e messi su Internet. Invero, Internet è divenuta un forum per i parlatori di tutti i linguaggi artificiali di successo. Se essi possano essere considerati artificiali o meno, l'Esperanto ed il Lojban basato sulla logica sono entrambi popolarmente utilizzati in ogni parte del mondo elettronico.
          L'Elfico non ha il budget e la centralità del Klingon, tanto è ovvio. Mentre il Klingon Language Institute offre mercanzie, effectti sonori scaricabili, e associazione ufficiale, la maggior parte dei siti correlati all'Elfico sono personali. La questione è inevitable: quale, tra Klingon ed Elfico, è il linguaggio autentico più legittimo?
          Il Klingon, con tutta la sua pubblicità, trae nuovi parlatori a dozzine. Mentre non vi è letteratura di base, essi ne traducono d'altra e ne sviluppano di loro propria.
          Il Quenya, nel contempo, non è per nulla così prolifico. Uno dei siti web più popolari, Tyalië Tyelelliéva, è la personale creazione di Lisa Star, la quale si era basata sul principio per cui "sentii che dovesse esservi più poesia Elfica nel mondo." Come un canale per le arti, lei offre premi letterari, pubblicazioni in stato di E-zine, ed accesso alla "Elfling List."
          Ciò che Tyalië Tyelelliéva prova è che contributi al linguaggio possono ancora essere apportati. Lo studio dell'Elfico, a dispetto delle grammatiche congetturali impiantate dai suoi linguisti, sembra come una praticabile fonte di nuova letteratura. Nel penetrante articolo di Fauskanger nel saggio sul copyright [non più presente nel sito, N.d.T.], egli argomenta che l'uso del linguaggio (i.e. l'impiego, la critica ed il raffronto), sia interamente legale. La stesura del saggio fu provocata dall'accusa contraria, un saggio che Zamenhof espressamente vietò nella sua introduzione all'Esperanto.
          Ma se i contributi possono essere apportati, lo sono? Tale questione stimolò un susseguente studio della lista E-mail Elfling, la quale fu stabilita per facilitare la discussione dei linguaggi di Tolkien. Nel corso di un mese, i messaggi E mail furono ricevuti ed analizzati nel contenuto. Le analisi riguardavano quanto segue:

1) Gli scrittori si rivolgevano l'un l'altro usando cordialità Elfiche?
2) Gli scrittori adoperavano l'Elfico nella scrittura (poesia, messaggistica, etc.)?
3) Essi discutevano di storia/etimologia?
4) Essi discutevano la grammatica?
5) Di qual genere erano gli scrittori?

The results of the survey are as follows:

Gli scrittori adoperavano l'approccio Elfico?                   
Yes          8.77%                                                           
No          91.23%                   

Gli scrittori discutevano di storia/etimologia?
No          68.42%
Yes          31.57%

Gli scrittori impiegavano l'Elfico?                             
Yes          14.04%
No          85.96%

Gli scrittori discutevano di grammatica?
Yes          87.72%
No          12.28%

          Dei messaggi postati, l'82.46% erano postati da maschi, l'8.77% da femmine, e l'8.77% non può essere identificato.
          Mentre una lista di E-mail può a stento essere esaustiva, i risultati indicano pesantemente che l'Elfico non è usato come un linguaggio quanto come un'area di studio. Il limitato numero di persone che effettivamente lo adopera suggerisce che scrivere nel linguaggio (molto meno parlarlo) non è ciò che affascina la maggior parte dei discenti. Invero, in una intervista elettronica con tre utilizzatori del Quenya, uno disse che aveva tradotto passaggi della Bibbia e scritto poesie, e potrebbe comporre "senza aver controllato alcuna fonte, dizionari, etc." Tutti e tre risposero che potevano leggerlo, uno di essi con "una certa facilità," ma un altro argomentò che "non credo che sia possibile" essere fluenti in Quenya.
          Quando fu chiesto se loro stessi crearono vocaboli, tutti concordarono che mentre era pratica usuale colmare le lacune del linguaggio, nessun vocabolo fu ideato arbitrariamente. Se nuovi vocaboli Quenya furono generati, essi furono basati o sul più antico Qenya oppure su radici-radicali Sindarin. Dacché il progetto del linguaggio fu inteso come poetico-amichevole, gli utenti del Quenya sembrano aprire a nuove frasi ed astute elaborazioni dei vocaboli esistenti.
          Poiché il testo sorgente non può continuare (lo stesso Tolkien è morto), ed il linguaggio non può essere esteso dal suo creatore, lo studio del Quenya non sembra essere soltanto un campo postumo per quanto attiene a Tolkien, ma postumo nel senso che l'Elfico diviene come un linguaggio morto. Così come il Latino fu modificato ma il vocabolario rimase largamente lo stesso dopo la caduta dell'Impero Romano, l'Elfico sembra essere più una ricerca accademica che non pratica. Ove il Klingon può servire come una utilità comunicativa, l'Elfico è più una finestra letteraria in uno spirito d'autore, al modo in cui apprendere il Greco è una finestra nella mente di Socrate, o l'Aramaico è una finestra nel Talmud.
          Dire che l'Elfico è morto è proporre che esso una volta fosse vivo, e ciò sembra inverosimile nel mondo reale. Per Tolkien, comunque, il linguaggio era sufficientemente reale per i residenti nella Terra di Mezzo.

VII: Conclusione: Il Futuro dei Linguaggi Artificiali

          Poiché il fenomeno dei linguaggi artificiali è così raro, non v'è modo di divinare cosa c'è in serbo per essi: vi saranno nuovi linguaggi artificiali, dato il montante interesse per Klingon ed Elfico? O la gente sarà soddisfatta solo con questi? Un hobbysta genererà un linguaggio popolare abbastanza da essere considerato un linguaggio artificiale, ed i correnti linguaggi artificiali un giorno diverranno autentici linguaggi, utilizzabili a casa o sul posto di lavoro?
          A questo stadio un linguaggio artificiale non è più un esperimento oppure una novità; nel caso del Klingon e dell'Elfico, essi si sono espansi oltre la comprensione di ogni individuo.
          Uno studente dell'Elfling list scrisse questa replica in risposta ad una domanda circa la pronuncia Quenya:

Se mai l'Elfico fosse un linguaggio reale, saremmo incapaci, in assenza di informazioni dai nativi parlatori... di fare più che una (forse altamente istruita) congettura sul suo dettaglio fonetico; così com'è, è un linguaggio fittizio, e le domande sul dettaglio fonetico sono inerentemente senza risposta.

         Mentre molti scrittori provano a mantenere l'illusione che il Sindarin ed il Quenya siano autentici linguaggi, il detto autore rispondeva alla questione con una abbagliante assenza di speranza. Il sentimento è indubbiamente comune, dato il fatto che Tolkien lasciò un legato più concreto che non le note.
          Ancora, il fatto che una domanda possa essere posta sul soggetto della pronuncia rivela un interesse soggiacente nel fabbricare una forma usabile del Quenya dalla sua manipolazione a soddisfare gli scopi dei comunicanti. Se da ciò si giungerà alla fruizione è ignoto, ma come il concetto dei linguaggi artificiali testimonia, ciò che può essere immaginato è spesso realizzato al di là delle nostre aspettative.

Bibliografia

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          Elgin, Suzette Haden, Linguistics and Science Fiction Interface, ©1999 di Suzette Haden Elgin, http://www.webspawner.com/users/sfling

          Fauskanger, Helge, Tolkien's Not-So Secret Vice, http://www.uib.no/People/hnohf/vice.html

          Henning, Jeffrey, Model Languages, ©1995 by Jeffrey Henning, http://www.langmaker.com/m10101.html

          Okrand, Marc, The Klingon Dictionary, ©1993 dalla Paramount Pictures, Simon & Schuster, Inc. New York, NY

          Okrand, Marc, Klingon for the Galactic Traveler, ©1997 di Simon & Schuster, New York, NY

          Richardson, David, Esperanto: Learning and Using the International Language, ©1998 di David Richardson, Orcas Publishing Company, Eastsound, WA

          Rosenfelder, Mark, The Model Languages Kit, http://www.zompist.com/kit.html

          Star, Lisa, Tyalië Tyelelliéva, http://www.geocities.com/Athens/Parthenon/9902

          Yaguello, Marina, Lunatic Lovers of Language: Imaginary Languages and Their Creators, tradotto da Catherine Slater. ©1991, Athlone Press, London

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