A Elbereth Gilthoniel

di Helge Fauskanger - tradotto da Gianluca Comastri

Questo inno è il più lungo testo Sindarin in SdA, e si trova presso la conclusione del capitolo "Molti incontri" (SdA/II cap. 10 [dell'edizione inglese, come tutti gli altri qui riportati, N.d.T.]). Gli Hobbit sono nella casa di Elrond all'interno del Salone del Fuoco: "Mentre varcavano la soglia udì ancora un'unica voce cristallina intonare un canto... [Frodo] rimase immobile e silenzioso, mentre le dolci sillabe del canto elfico s'innalzavano come limpide gemme fatte di musica e parole. 'È un canto per Elbereth,' disse Bilbo. 'Canteranno questa, ed altre canzoni del Sacro Regno, molte volte stasera.' " Nelle Lettere:278, Tolkien lo definisce un "frammento d'inno", suggerendo che ciò che ne abbiamo è solo una stanza di molte altre.
          L'inno non si trova tradotto in SdA, eccetto per le parole galadhremmin Ennorath che vengono interpretate come "paesaggi intessuti di alberi nella Terra di Mezzo" nella seconda nota a piè di pagina dell'Appendice E. Tuttavia, Tolkien fornisce una traduzione di questo canto in RGEO:72, seguita da alcuni illuminanti commenti. Questa è la fonte primaria per il presente articolo.

L'inno a Elbereth (in RGEO:70 è preceduto dall'iscrizione Tengwar Aerlinn in Edhil o Imladris, *"Inno degli Elfi di Gran Burrone"):


          A Elbereth Gilthoniel,
          O Elbereth che accendi stelle
          silivren penna míriel
          (bianche) faville che digradano scintillanti come gemme
          o menel aglar elenath!
          dal firmamento [la] gloria della volta stellata!
          Na-chaered palan-díriel
          A remote distanze contemplando lontano
          o galadhremmin ennorath,
          da [i] paesaggi intessuti di alberi nella Terra di Mezzo,
          Fanuilos, le linnathon
          Fanuilos, a cui va il mio canto
          nef aear, sí nef aearon!
          da questa riva dell'oceano, qui da questa riva del Grande Oceano!

In RGEO, Tolkien paragona questo inno all'invocazione proferita da Sam "parlando lingue" in Cirith Ungol (SdA2/IV cap. 10: "come per incanto la sua lingua si sciolse, ed in un idioma ignoto la sua voce cantò"...). Diamo di seguito quest'esempio, in cui analizziamo a dovere questa breve invocazione. Tolkien nota nelle Lettere:278, "Sebbene esso sia, evidentemente, nello stile e metrica del frammento [A Elbereth Gilthoniel], penso che sia scaturito o sia stato ispirato a causa della sua [di Sam] particolare situazione".


          A Elbereth Gilthoniel o menel palan-diriel, le nallon
          O Elbereth che accendi stelle dal firmamento costì contemplando, a Te grido
          sí di-nguruthos! A tiro nin, Fanuilos!
          preda dell'orrore mortale! Volgimi il tuo sguardo, Semprebianca!

Traduzione di Tolkien dei testi in esame (alquanto libera e ridondante):
          [L'inno:] "O Elbereth che accendi le stelle, da cascate di brillante cristallo che spiove con luce come di gioielli dall'alto del cielo, la gloria della volta stellata. Da lande remote ho guardato lungi, e ora a te, Fanuilos, splendente spirito di bianco vestito, io qui canterò d'oltre il Mare, oltre il vasto e sconfinato Mare."
          [Invocazione di Sam:] "O Regina che accendesti stelle su stelle, biancovestita, che dal cielo contempli, qui immerso nel timore mortale grido: proteggimi, Elbereth!" Un'altra traduzione, più letterale, è data nelle Lettere:278: "O Elbereth che accendi stelle contemplando dal cielo, a te io grido adesso nell'ombra della (paura della) morte. Volgimi lo sguardo, Semprebianca."

ANALISI PER SINGOLO VOCABOLO

In apice: Aerlinn in Edhil o Imladris. In nessuna fonte tradotto da Tolkien, ma evidentemente dal significato "Canto sacro (inno) degli Elfi di Gran Burrone". Aerlinn è trasparentemente un elemento aer *"holy" + lind "motivo, *canto", che può apparire come -linn in un composto (ma anche *aerlind dovrebbe essere consentito). in "the", plural. Edhil "Elfi" (sg. Edhel). La frase in Edhil è intesa come un genitivo, "degli Elfi". Non è marcata come un genitivo per mezzo di alcna desinenza o prefisso, ma semplicemente dalla sua posizione in seguito ad un altro sostantivo, aerlinn. (Al singolare, il Sindarin ha uno speciale articolo "genitivale", e o en "del", ma al plurale in è usato sia che il sostantivo sia un genitivo o meno.) o "di, da", Imladris "Gran Burrone". In RGEO:72, Tolkien nota che il linguaggio di tale inno è "Sindarin, ma di una varietà usata dagli Alti Elfi (di quella specie erano la maggior parte degli Elfi in Gran Burrone), marcato nell'alto stile e nei versi dall'influenza del Quenya, il quale era stato originariamente il loro normale idioma". Come esempio di parole Quenya prese a prestito egli elenca i termini menel, palan- e le (vedere sotto); possiamo aggiungerne un altro: l'aer *"sacro" di aerlinn è forse una forma Sindarizzata del Quenya aira, airë, per tali vocaboli Quenya words che vengono da una radice GAYA (PM:363) che non dovrebbe aver perso la sua iniziale G in Sindarin se aer fosse stata una parola ereditata. Comunque, un'altra possibile interpretazione di tale elemento è quella per cui viene da aear "mare", perciò aerlinn = *"canto del mare", dacché gli Elfi talvolta andavano in pellegrinaggio agli Emyn Beraid, prossimi all'oceano. Può pure essere che il vocabolo sia deliberatamente ambiguo.

L'inno: A "o", qui evidentemente usato come una particella vocativa. Elbereth il normale nome Sindarin di Varda. L'elemento el- significa "stella", mentre bereth secondo RGEO:74 significa "consorte", usato per la consorte di un re, perciò venendo a intendere "regina". Varda è sia la Regina dei Valar che la consorte di Manwë; nelle Lettere:282 Elbereth è tradotto "Dama delle Stelle". Perché bereth non è lenito in *vereth in Elbereth, sebbene il secondo elemento in un composto dovrebbe normalmente essere lenito? Tolkien indirizzò tale questione in MR:387: è perché l'elemento el- "stella" era originariamente elen, come in Quenya, e così abbiamo l'antico Elenbarathi a fornire Elmbereth, semplificato in Elbereth, l'antico lmb divenendo lb invece di lv. Notare che la parola Elbereth is non è direttamente correlata al Quenya Varda "Maestoso, Sublime" (la forma Quenya di Elbereth dovrebbe essere stata qualcosa come *Elenvarsi, mentre l'affine Sindarin di Varda dovrebbe essere stato *Baradh o probabilmente *Bradh, ma non si ha evidenza che queste forme fossero in uso come nomi della Regina delle Stelle). Gilthoniel "accenditrice di stelle": Gil "scintilla vivace, stella" (come in Gil-galad "Stella di Radianza") + thoniel "che accende". In MR:388, il secondo elemento è detto venire da una radice than, thân "accendere, dar luce a" + iel "un suffisso femminile corrispondente al maschile -we". (Il Sindarin th non può sottostare ad alcuna lenizione ed è pertanto invariato quando gil- è prefisso.) Nelle Lettere:278, Gilthoniel è tradotto "Accenditrice di Stelle", ma Tolkien aggiunse una nota: "al passato: il titolo appartiene alla mitica pre-istoria e non è riferito ad una funzione permanente". Così in qualche modo thoniel è marcato come tempo passato "uno che accendeva" invece di "uno che sta accendendo (adesso)". Se lo vediamo come un participio, esibisce la medesima desinenza di palan-díriel "che fissò lontano" più avanti nell'inno (come opposto al presente palan-diriel "contemplando lontano" nell'invocazione di Sam), dovrebbe avere una vocale lunga al tempo passato. Dacché la radice è data come than-, thân- in MR:388, non *thon-, dobbiamo evidentemente intendere che la á lunga (â) divenne o (via au). Molti paralleli mostrano che questo è il caso; per esempio, il Sindarin Anor "Sole" viene da anâr- (LR:378, radice ANÁR). silivren "(bianco) scintillante". La parte -ren è una desinenza aggettivale, mentre siliv- è una forma Sindarizzata del Quenya silima, il nome di Fëanor per la speciale sostanza cristallina che egli concepì, adoperandola per creare i Silmaril. Tolkien annotò che il termine silivren "richiamerebbe alle menti Elfiche i silmaril e descrive le stelle come forme cristalline splendenti dall'interno con una luce dal misterioso potere" (RGEO:73). Qui, silivren è apparentemente usato avverbialmente, descrivendo come "la gloria della volta stellata" (vedere sotto) sia 'rivolta dabbasso'. penna un verbo "digradano", qui con la desinenza -a che i verbi con radice A mostrano al presente. Deve essere derivata da una forma con nasale infissa della radice PED "declinare, pendere in basso" (WJ:375). Il soggetto di tale verbo sembra essere aglar elenath "la gloria della volta stellata"; vedere sotto. míriel agg. "scintillanti come gemme" (confrontare mîr "gioiello", Quenya mírë). Míriel ha pressoché l'aspetto di un participio, ma per varie ragioni deve essere piuttosto preso come un aggettivo (con una vocale lunga dovrebbe aver significato "avendo scintillato come gemme" se esso fosse un participio, ma questo non è chiaramente il senso, così dobbiamo piuttosto presumere che esso semplicemente preservi la vocale lunga di mîr). Qui, míriel (come silivren) è usato avverbialmente, descrivendo come "la gloria della volta stellata" (vedere sotto) è 'declinante giù'. o "da"; menel "firmamento, cieli superiori, la regione delle stelle" (secondo RGEO:72 una presa a prestito dal Quenya). aglar "gloria", elenath "(la) volta stellata", "(tutte) le (visibili) stelle del firmamento". In WJ:363, Tolkien dichiara: "êl, pl. elin, classe plurale elenath. Un arcaico termine per 'stella', poco usato eccetto che in versi, a parte la forma elenath 'tutta la miriade di stelle del cielo'." In RGEO:74-75, Tolkien spiega che la desinenza -ath "era usata come un gruppo plurale, abbracciando ogni oggetto dello stesso nome, o quelli associati in qualche speciale arrangiamento o organizzazione" (RGEO:74-75). L'intera frase aglar elenath "(la) gloria (della) volta stellata" è un esampio della costruzione "genitivale" Sindarin che semplicemente comporta la giustapposizione di due sostantivi, il posseduto seguito dal possessore: "(la) gloria (della) volta stellata". Cfr. aerlinn in Edhil "inno (de)gli Elfi" nella soprascritta; cfr. anche l'iscrizione sul cancello di Moria: Ennyn Durin Aran Moria "Le porte (di) Durin Signore (di) Moria". Na-chaered "A remote distanze": na- "a" + *haered "remote distanze" (confrontare l'aggettivo Quenya haira "remoto, lontano"); *haered è lenito in chaered seguendo l'elemento preposizionale na-. palan-díriel "avendo contemplato lontano": palan- "lungi, dattorno, lontano ed ampio", un elemento preso a prestito dal Quenya (ricorrente in palantír, "che guarda da lungi"); -díriel forma lenita di tíriel "contemplando, guardando", participio [presente, qui reso col gerundio, N.d.T.] di tir- "guardare". Esso è lenito come la seconda parte di un composto. Secondo Tolkien, palan-díriel con una lunga radice vocalica (í) significa "avendo contemplato da lungi" (al passato), mentree palan-diriel come nell'invocazione di Sam, con una corta i, significa "contemplando lontano" (ora). La distinzione è passato vs. presente. - La radice tir- "guardare" è naturalmente la medesima del Quenya palantír. Invero l'intera frase palan-díriel è intesa come a suggerire "avendo guardato in un palantír", dacché questo è un inno cantato da Elfi che erano stati in "pellegrinaggio" agli Emyn Beraid a guardare in direzione del Reame Beato adoperando la Pietra della Vista. - Ci si può domandare perché la finale n in palan, quando prefissa a tíriel, non causi mutazione della nasale - sc. n + t divenendo th, così quando la frase sottostante *in tiw "le rune" manifesta come i thiw nell'iscrizione sul cancello di Moria. Invece della mutazione nasale, la t di tíriel subisce lenizione (leggera mutazione) a divenire d, producendo palan-díriel. Tolkien affrontò tale questione nelle Lettere:427: "palan-tîriel dovrebbe foneticamente > -thíriel... ma grammaticalmente prima delle effettive forme dei verbi, la leggera mutazione fu normalmente usata soltanto da". galadhremmin "intrico d'alberi": galadh "albero" + remmin "intricato". Questo è un aggettivo derivato da rem "rete"; vedere la seconda nota a piè pagina nell'Appendice E di SdA. Remmin è la forma plurale di tale aggettivo; la forma singolare dovrebbe essere *remmen. Esso è pl. in accordo con ennorath, tradotto "terre di mezzo" in RGEO:72. Effettivamente è Ennor "Terra di Mezzo" (*en- "mezzo" + nor "terra"; Quenya Endor, Endórë) con la desinenza collettiva -ath come in elenath sopra, perciò riferendosi alle differenti lande della Terra di Mezzo come un insieme. Fanuilos è tradotto "Semprebianco". Vi sono tre elementi: Fân, fan- significa "velo", ma connota anche l'affine Quenya fana, usato per le apparenze fisiche che i Valar assunsero quando si presentarono in forma visibile. Ui significa "sempre", mentre -los deve essere una forma lenita e ridotta di gloss, "bianco-neve". L'insieme, spiega Tolkien, significa pertanto "vivida (angelica) figura sempre bianca (come neve)" (RGEO:74). Una spiegazione lievemente diversa è data nelle Lettere:278; qui l'elemento fan- è detto anche intendere "bianco": "Everwhite è una traduzione inadequata, come lo è ugualmente... bianco-neve... L'elemento ui (Elfico Primordiale oio) significa sempre; sia fan- che los(s) comunica bianco, ma fan connota il candore delle nuvole (al sole); loss si riferisce alla neve." le "a te", un pronome preso a prestito dal Quenya (nel quale linguaggio esso non fu probabilmente una forma dativa, ma piuttosto un accusativo e/o nominativo; in Alto-elfico, "a te" dovrebbe probabilmente essere il dativo *len o l'allativo *lenna). È possible che le possa anche essere usato come un accusativo in Sindarin e fosse originariamente preso a prestito come tale. linnathon "canterò": radice linna- "cantare" + la desinenza futura -tha "-rò" + la desinenza -n "io", che fa sì che una precedente a divenga o. Confrontare nallon nell'invocazione di Sam sotto; cfr. anche linnon *"io canto" nei Lais del Beleriand p. 354. nef è una preposizione "in questo lato di". Essa è pronunciata nev ed è così compitata in scrittura Tengwar, ma Tolkien aveva una strana ripulsa per la finale ortografica v, così quando scriveva in Sindarin con le nostre lettere egli usava invece la lettera f, come in inglese of ("ov"). La "corretta" ortografia è usata quando v non è finale, come nel nome Nevrast "Rive di Qua" nel Silmarillion. aear "oceano, mare" (Quenya ëar come in Eärendil). Nella concezione posteriore di Tolkien, aear deve essere visto come una forma lenita di gaear, lenita in quanto essa segue la preposizione nef (così come *haered è lenito in chaered seguendo na). Ma l'evidenza è che quando Tolkien in origine scrisse l'inno, egli pensava ad aear come ad un vocabolo completo, non come gaear con la normale lenizione G > zero. Nelle Etimologie, il termine per "mare" era stato oear, derivato da una radice AYAR/AIR. Tolkien più tardi rivisitò le modifiche sonore cosicché questa divenne invece aear. Ma in un sagio datato circa dal 1960, Tolkien derivò invece la parola Sindarin per "mare" da una radice GAYA, così ora essa è divenuta gaear (WJ:400). Quindi egli ritornò alla radice AYAR che fornisce il Sindarin aear, come è evidente da una lettera che scrisse nel 1967 (Lettere:386). Indi egli cambiò opinione di nuovo; in un testo scritto almeno un anno dopo, il vocabolo Sindarin per "mare" è ancora una volta gaear (PM:363), e a quanto sappiamo, questa fu la sua decisione finale. (Comunque, non sarei sorpreso se fosse mai reso noto che una nota con qualche scarabocchio fosse stata ritrovata nei pressi del suo letto di morte: "AYAR mare; Q ëar, S aear.") "qui", nef "da questo lato di" nuovamente, aearon deve essere visto come una forma lenita di gaearon, sc. gaer col che Tolkien definisce un suffisso incrementato (RGEO:73). Se gaer è semplicemente "oceano", gaearon è "Grande Oceano" (RGEO:72). Così come nel caso di aear, vi è un piccolo dubbio se Tolkien pensasse ad aearon come a una parola completa in sé, e non a una forma lenita, quando egli per la prima volta scrisse l'inno. (Se non vediamo aear, aearon come forme lenite, esse devono essere spiegate come varianti di gaear, gaearon influenzate dal Quenya ëar.)

Indi vi è l'invocazione di Sam in Cirith Ungol:
          Prima frase: A Elbereth Gilthoniel, o menel palan-diriel, le nallon sí di-nguruthos! "O Elbereth che accendi stelle, dal firmamento costì contemplando, a te ora grido all'ombra della morte." A Elbereth Gilthoniel "o Elbereth che accendi stelle" come nell'inno (la prima edizione di SdA ha o Elbereth invece di a Elbereth; questo fu un errore che Tolkien in seguito corresse, vedere Lettere:278). o "da". menel "firmamento" come sopra nell'inno. palan-diriel "contemplando da lungi", stessi elementi come in palan-díriel "avendo contemplato da lungi" sopra, ma qui la radice vocalica non è allungata (i, non í), e questo accorgimento alquanto inconsistente indica che tale participio è il presente "contemplando da lungi" invece del passato "avendo contemplato da lungi". (Primissime edizioni di SdA effettivamente recitano palan-díriel con una vocale lunga invece di palan-diriel; questo è un errore, secondo una nota a piè di pagina in RGEO:72.) le "a te" come nell'inno. nallon "io grido", evidentemente una radice verbale *nalla- "gridare" con la desinenza pronominale -n "io". Per qualche ragione, tale desinenza comporta sempre che una -a precedente (per il presente come qui, o come parte della desinenza futura -tha) si modifichi-o, perciò "io grido" è nallon piuttosto che **nallan, così come "io canterò" è linnathon piuttosto che **linnathan (vedere sopra). Cfe. anche linnon *"io canto" ne I Lais del Beleriand p. 354, radice *linna-. "qui", come nell'inno; anche tradotto "ora" (Quenya "adesso"). di-nguruthos "sotto l'orrore mortale". Così è compitato in RGEO:72; SdA ha di'nguruthos con un apostrofo invece di un trattino. La forma "normale" (quale è, immutata) di -nguruthos dovrebbe essere *guruthos. Il primo elemento di tale composto è palesemente guruth "morte" (LR:377, radice ÑGUR). Secondo le Etimologie, ciò dovrebbe significare "morte come una condizione o come astrazione" piuttosto che "atto di morire" (che è gwanw o gwanath), ma Sam dobrebbe essere preoccupato della possibilità del suo proprio "atto di morte" piuttosto che della morte come una astrazione, così sembra che guruth qui prenda il significato di gwanw (il quale, per inciso, dovrebbe piuttosto essere *gwanu nello stile del Sindarin di SdA). L'elemento finale in *guruthos è evidentemente il medesimo di delos "ripugnanza", ove del- rappresenta la radice DYEL "provare paura e disgusto" e la parte -os è equiparata a gos (LR:355), g essendo lenita a zero nel composto. Gos è a sua volta connesso con la radice GOS/GOTH "spavento", donde il Quenya ossë "terrore" - la qual parola è anche il nome del Maia Ossë, secondo le Etimologie. Un inutilizzato affine Sindarin del nome Ossë è dato come *Goss, così si può concludere che gos, goss significhi "terrore, *orrore", dando a *guruthos il significato "orrore mortale". Questo è il modo in cui Tolkien lo tradusse in RGEO:72, mentre le Lettere:278 hanno "l'ombra della (paura della) morte"; nessuna parola indicante "ombra" è effettivamente presente. l'elemento prefisso di' o di- è tradotto "in" nelle Lettere:278, ma la traduzione più letterale in RGEO:72 sembra indicare che esso effettivamente significa "sotto". Tale elemento preposizionale prefisso è in qualche modo responsabile del fatto che *guruthos qui si manifesta come nguruthos. Vi sono due possibilità. Dacché guruth viene da una radice ÑGUR, l'iniziale ng- che riflette l'originale occlusiva iniziale nasalizzata dovrebbe apparire di seguito a particelle strettamente correlate terminanti in una vocale, come l'articolo (*i nguruthos "l'orrore mortale"). Vi può essere una preposizione di "sotto" che si comporta come l'articolo i "il" in rispetto a ciò. D'altra parte, la preposizione può anche essere *din, e la finale n causa mutazione nasale dell'iniziale g di *guruthos. Il segno ' di di'nguruthos suggerisce che la finale n di *din sia sparita, essendo inghiottita dalla mutazione nasale? (Se così, un'ortografia più standard dovrebbe essere stata semplicemente *din Guruthos; confrontare in Gelydh, non i'Ngelydh, per "i Noldor".) Di seguito all'apostrofo, potremmo esserci aspettati uno spazio a separare chiaramente le parole (*di' nguruthos), ma sembra non esservi spazio nel testo in SdA.
          Seconda frase: A tiro nin, Fanuilos! "Volgimi il tuo sguardo, Semprebianca". A "o", qui non usato come una particella vocativa come in a Elbereth, ma piuttosto come una particella che enfatizza l'imperativo seguente: tiro "guarda" o "mira": radice tir- con la normale desinenza imperativa -o. Secondo le Lettere:427, tale imperativo in -o ricopre tutte le persone (non si distinguono forme plurali: un Elfo urlò daro! "fermi!" all'intera Compagnia quando essi entrarono in Lórien; vedere SdA1/II cap. 6). Primissime edizioni di SdA recitano tíro con una lunga í, ma secondo RGEO:72 questo è un errore. nin è tradotto "verso di me". Il primo elemento di tale pronome è chiaramente identico al Quenya ni "io"; la finale -n potrebbe essere quel che rimane del primitivo elemento na "verso" dopo la perdita delle vocali finali (cfr. la radice 1 nelle Etimologie e la na di na-chaered "da remote distanze" nell'inno). Questo dovrebbe dare a nin il significato "io-verso" = "verso di me". Fanuilos nuovamente "Semprebianca".

Nota sulle mutazioni seguenti la preposizione o "da, di": Come tale inno illustra, molte preposizioni Sindarin suscitanolenizione, anche nota come "lieve mutazione", del vocabolo seguente. *Haered diviene chaered seguendo na, e gaear/gaearon diviene aear/aearon seguendo nef. Ma che dire della preposizione o "da, di"?
          Nella frase o Imladris "da Gran Burrone" in apice non vi è naturalmente mutazione dacché parole che iniziano in una vocale non possono subire alcuna modifica del genere. Ma è rimarchevole che non vi sia lenizione nelle frasi o menel e o galadhremmin ennorath. Potremmo esserci invece aspettati **o venel e **o 'aladhremmin ennorath, i termini che seguono o essendo leniti. Ciò non avviene. Perché?
          Tolkien annota in WJ:366-367, "la preposizione o [è] l'usuale vocabolo per 'da, di'... Come mostrano le mutazioni in seguito alla preposizione o, essa doveva preistoricalmente terminare in -t o -d. Probabilmente, pertanto, essa viene da *aud... [La preposizione o] è normalmente o in ogni posizione, sebbene od appaia occasionalmente prima di vocali, specialmente prima di [parole che iniziano in] o-."
          Dobbiamo presumere che prima di suoni vocalizzati come la m di menel e la g di galadh, la finale d di aud fosse semplicemente integrata in un suono similare, *aum m- e *aug g- più tardi venendo semplificati in o g- e o m- come in o galadh, o menel. Pertanto, vocaboli che iniziano in m o g (e probabilmente altri suoni vocalizzati come d, b, l, r, n) sono invariati seguendo la preposizione o. Ma da che Tolkien si riferisce a "le mutazioni in seguito alla preposizione o" in WJ:366, qualcosa di interessante talvolta avviene in seguito ad una o. Non abbiamo esempi diretti di cosa egli intendesse, ma quel che generalmente sappiamo sulla fonologia Sindarin e la sua evoluzione suggerisce che o innesca mutazione spirante dei sostantivi che iniziano nelle esplosive afone p-, t-, c-. Prima di un sostantivo come perian "halfling, hobbit", la d di aud dovrebbe essere assimilata alla successiva p, cosicché aud divenne *aup. Allora la doppia p di *aup perian, come tutte le altre doppie p, divenne una singola spirante ph (= f) in Sindarin. "Da (un) hobbit" dovrebbe pertanto probabilmente essere *o pherian. Similmente, c e t diverrebbero le spiranti ch e th seguendo la preposizione o. (In un poema pubblicato in Tyalië Tyelelliéva #11, David Salo traduce "da Celos" come o Chelos.)

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