Genesi 2

di Helge Fauskanger - traduzione di Gianluca Comastri

OK, sfrontatamente continuiamo la nostra traduzione della Bibbia col Genesi, capitolo 2... i necessari commenti si trovano nella discussione verso per verso sotto.

1 Sin menel ar cemen ar ilya hossenta ner telyainë. 2 Ar i otsëa auressë Eru telyanë carierya ya carnéro, ar sendéro i otsëa auressë ilya carieryallo ya carnéro. 3 Ar Eru laitanë i otsëa aurë ar airitánë ta, an tassë Eru sendë ilya carieryallo ya ontanéro ar carnéro.
         
4 Sina ná i nyarna menelo ar cemeno írë nentë ontainë, i auressë yassë carnë i Heru Eru menel ar cemen.
         
5 Úmë ëa voro tussa palúrëo cemessë, ar olvar voro úmer tuita, an i Heru Eru lá tyarnë mistë lanta cemenna, ar úmë ëa Atan mótien i palúressë. 6 Nan hísië ortanë cemello, ar antanes nén ilya palúren cemeno. 7 Ar i Heru Eru carnë i Atan astonen i cemello ar súyanë cuilesúlë mir nengwerya, ar i Atan né cuina onna.
         
8 Ar i Heru Eru empannë tarwa Erenessë, Rómenna, ar tanomë pannéro i Atan i carnéro. 9 Ar i Heru Eru tyarnë tuita cemello ilya alda i ná vanya cenië na ar mára matië ho, ar yando i alda cuilëo endessë i tarvo, ar i alda isto márava ar ulcava.
         
10 Eänë sírë i lendë et Erenello antien nén i tarwan, ar tanomello nés hyárina mir canta celumi. 11 I essë i minyo ná Píhyon; ta ná i sirë os ilya i nórë Havíla, yassë ëa malta. 12 Ar i malta tana nórëo ná mára. Tanomë ëar yando nísima suhtë ar ahyamírë. 13 Ar i essë i tatya sírëo ná Íhon; ta ná i sirë os ilya i nórë Cús. 14 Ar i essë i nelya sírëo ná Hirrecel; ta ná i celë rómessë Ahyuro. Ar i canya sírë ná Perat.
         
15 Ar i Heru Eru mampë i Atan ar pannë so Ereno tarwassë mótien tassë ar tirien ta. 16 Ar i Heru Eru pannë i Atan nu sina sanyë: "Ilya aldallo i tarwassë nályë lávina matë. 17 Nan i aldallo isto márava ar ulcava áva matë, an i auressë yassë matilyë tallo, anwavë firuvalyë."
         
18 Ar equë i Heru Eru: "Umë mára sa i Atan ná eressëa. Caruvan son restar i ná ve so."
         
19 I Heru Eru carnë cemennen ilyë celvar palúrëo ar ilyë aiwi menelo, ar tultanérot i Atanna cenien mana estanérot. Ya i Atan estanë ilya cuina onna, ta né esserya. 20 Ar i Atan estanë ilyë lamni ar i aiwi menelo ar ilyë hravani celvar, nan Atanen úméro hirë restar i né ve so.
         
21 San i Heru Eru tyarnë núra fúmë lanta i Atanna, ar írë fumnéro, mampéro minë hónaxoryaron ar quantë hrávenen. 22 Ar i Heru Eru carnë i hónaxo ya mampéro i Atanello mir nís, ar tultanéros i Atanna. 23 San equë i Atan: "Sina lú nás axor axonyaron ar hrávë hrávinyo! Sina yéva estaina Nís, an Nerello nárë mapaina."
         
24 Tanen nér autuva ataryallo ar amileryallo ar himyuva vesserya, ar yévantë minë hrávë.
         
25 Nentë heldë, i Atan ar vesserya, nan úmentë naityainë.

O verso per verso:         

1 Sin menel ar cemen ar ilya hossenta ner telyainë.
         
Così il cielo e la terra e tutte le loro schiere furono compiute [lett. finite]. [Sin sembra essere un vocabolo per "così", attestato in PM:401: Sin Quente Quendingoldo Elendilenna, apparentemente indicante "così parlò Pengolodh ad Elendil". Hossë "schiera", vedere il Lessico Qenya (QL) p. 41. Telyainë "completate" o letteralmente "finite", participio passato plurale del verbo telya- "portare a termine, finire per, concludere", WJ:411.]

2 Ar i otsëa auressë Eru telyanë carierya ya carnéro, ar sendéro i otsëa auressë ilya carieryallo ya carnéro.
         
E al settimo giorno Dio concluse l'opera che (aveva) fatto, ed Egli cessò il settimo giorno da ogni opera che Egli (aveva) fatta. [Otsëa "settimo", mia invenzione basata su otso "sette". - Qui la necessità di un vero piuccheperfetto è sentita; difettando di informazioni pubblicate su quello, devo utilizzare invece semplici preteriti. Riguardo al verbo telya-, vedere il verso 1 sopra. Carië "opera", sostantivo; letteralmente il gerundio del verbo car- "fare, creare, edificare". Sendë passato del verbo ser- "riposare" - non **sernë dacché la radice originale è SED e non SER (LR:385). Comparare rendë come il passato di rer- "seminare" in quanto la radice è RED (LR:383).]

3 Ar Eru laitanë i otsëa aurë ar airitánë ta, an tassë Eru sendë ilya carieryallo ya ontanéro ar carnéro.
         
E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso Dio cessò da tutte le sue opere che Egli (aveva) create e fatte. [Verbo laita- "benedire", un vocabolo utilizzato quando Frodo e Sam furono encomiati al Campo di Cormallen: A laita, laita te "benedite[li], benediteli", tradotto nelle Lettere:308. Airita- "santificare", pa. airitánë, un verbo trovato in un manoscritto inedito di Tolkien citato in Vinyar Tengwar #32, Novembre 1993, pagina 7. L'articolo è anche disponibile online, sebbene Carl F. Hostetter abbia per sue proprie ragioni cancellato l'originale riferimento al manoscritto inedito ed ora apparentemente tenti di far credere ai suoi lettori che lui stesso derivò tale vocabolo. - Il testo Ebraico di questo verso termina nella strana enunciazione mela`khto `asher bara` la´asoth, letteralmente "la sua opera che Egli aveva fatto render [?la / ?qualcosa]." Io semplicemente traduco "che Egli (aveva) creato e fatto", come fanno diverse moderne versioni. (L'articolo "Egli" con la maiuscola è di mia introduzione; Helge, da buon 'agnostico/scettico', pone nell'originale un normalissimo "he", N.d.T.]

4 Sina ná i nyarna menelo ar cemeno írë nentë ontainë, i auressë yassë carnë i Heru Eru menel ar cemen.
         
Questa è la storia dei cieli e della terra quando furono creati, nei giorni in cui il Signore Iddio fece cieli e terra. [Sina "Questa", UT:305; írë "quando" dal Canto di Fíriel, LR:72. - Nell'interesse dell'accuratezza, argomenterei normalmente che il divino nome Yahweh (Jehovah) dovrebbe essere trasportato nella lingua d'arrivo, abbandonando la tradizionale pratica di sostituirlo col titolo "Signore". Ma in forma Quenyarizzata, Yahweh diverrebbe più verosimilmente Yávë, cozzando col vocabolo per "frutto". Adattare "Jehovah" come Yehóva sarebbe una possibilità. Comunque, non posso resistere alla musica di i Heru Eru = "il Signore Iddio"... sebbene non vi sia tale rima nell'Ebraico Yahweh Elohim!]

5 Úmë ëa voro tussa palúrëo cemessë, ar olvar voro úmer tuita, an i Heru Eru lá tyarnë mistë lanta cemenna, ar úmë ëa Atan mótien i palúressë.
         
Non vi era ancora alcun arbusto dei campi sulla terra, e piante ancora non crescevano, poiché il Signore Dio non [aveva] fatto cadere pioggia sulla terra, e non vi era uomo a coltivare [lett. lavorare su] i campi. [Voro "continuamente", qui usato assieme ad un negativo per "non ancora", "ancor... no". Úmë ëa, lett. "non esiste", il verbo negativo úmë "non fece" (vedere il verso 18) + ëa "esistere". Palúrë (locativo palúressë) "superficie, grembo, grembo della Terra", LR:380 s.v. PAL; qui tradotto "campo". Tuita "crescere", QL:96.]

6 Nan hísië ortanë cemello, ar antanes nén ilya palúren cemeno.
         
Ma una bruma saliva dalla terra, e dava acqua all'intera superficie della terra. [Il preciso significato dell'Ebraico `edh è contestato. Pure i traduttori dei tempi antichi sembravano incerti; essi lo resero "fontana" oppure "nuvola". Alcune moderne versioni leggono "bruma" o "vapore", perciò uso hísië qui. (In Sindarin, mith "umida bruma" sarebbe forse stata la perfetta versione!)]

7 Ar i Heru Eru carnë i Atan astonen i cemello ar súyanë cuilesúlë mir nengwerya, ar i Atan né cuina onna.
         
Ed il Signore Dio fece l'uomo dalla polvere della terra ed alitò [/insufflò] un soffio vitale nel suo naso, e l'uomo fu [/divenne] una creatura vivente. [Assumo che il caso strumentale in -nen possa anche denotare un essere materiale consumato nella creazione di qualcosa, perciò astonen = "dalla polvere". - Alcune traduzioni leggono "anima vivente" invece di "creatura vivente", ma l'Ebraico nephesh si riferisce ad una creatura oppure essere vivente, a stento ad una "anima" nel normale senso moderno, sc. qualche sorta d'intimo spirito. - Il vocabolo Ebraico per "uomo" o "essere umano", `adham (Adamo), può ben essere il reale vocabolo d'ispirazione di Tolkien per il termine Quenya Atan; l'affine Sindarin Adan è similare alla forma Spagnola di Adamo, e lo Spagnolo era un linguaggio che a Tolkien piaceva. Adoperando il Quenya Atan per l'Ebraico `adham in una traduzione Biblica, possiamo aver chiuso il cerchio.]

8 Ar i Heru Eru empannë tarwa Erenessë, Rómenna, ar tanomë pannéro i Atan i carnéro.
         
Ed il Signore Dio piantò un giardino in Eden, verso l'Oriente, e quivi pose l'Uomo che [aveva] formato. [Il nome "Eden" può essere Quenyarizzato come Eren, da non confondersi con un vocabolo per "acciaio" occorrente nel primevo Lessico Qenya (LQ:36, LT1:252). Seguendo una vocale, la primeva *d era divenuta r in Quenya, e gli Eldar imitarono tale sviluppo adattando vocaboli forestieri all'Alto-elfico. Perciò, il Nanesco Khazâd fu adattato come Casar (Kasar); vedere WJ:388, 389. Seguendo tale esempio, io adatto Eden come Eren. - Tarwa "giardino", QL:87. - L'invenzione tanomë "in quel luogo, là" corrisponde al vocabolo attestato sinomë "in questo luogo"; cfr. sina = "quesyo" e tana = "quello". L'ablativo tanomello "da là" ricorre nel verso 10. - Per "piantò", adotto il termine empannë dall'iniziale proposizione dei "Due Alberi", che inizia Valar empannen Aldaru, che probabilmente significa "i Valar piantarono i Due Alberi" (leggere forse *Valar empanner Aldu in Quenya più maturo). Il Lessico Qenya, p. 80, ha un verbo rista- "piantare", ma ciò cozza con un verbo posteriore "tagliare" (LR:384 s.v. RIS) ed è pertanto ignorato. - Qui adopero pannë come il passato di panya- "piazzare, porre, fissare al posto", parzialmente armonizza con empannë, ma cfr. anche vannë come il passato di vanya- "andare, partire", LR:397 s.v. WAN. Comunque, il passato di panya- potrebbe probabilmente essere anche panyanë senza contrazione.]

9 Ar i Heru Eru tyarnë tuita cemello ilya alda i ná vanya cenië na ar mára matië ho, ar yando i alda cuilëo endessë i tarvo, ar i alda isto márava ar ulcava.
         
Ed il Signore Dio fece crescere dal suolo ogni albero bello da considerare [lett. guardare; per la traduzione fornita da Helge confido molto nella sua competenza circa la lingua ebraica, N.d.T.] e buono a mangiare, ed anche l'albero della vita nel mezzo del giardino, e l'albero de(lla) conoscenza del bene e del male. [Yando "anche", QL:104. Tale primevo vocabolo "Qenya" per "anche" può ben essere stato rigettato assieme al vocabolo ya per "e" - il Quenya maturo ha invece ar - ma non conosciamo altri vocaboli per "anche". - Tarvo, genitivo di tarwa "giardino". La combinazione wo è impossibile in Quenya, ed in tale posizione essa dovrebbe probabilmente volgere in vo. Comparare il nome Curvo (Kurvo) in PM:352; ciò probabilmente rappresenta l'impossibile forma *Kurwo, dacché la radice è chiaramente KURU come in Curufinwë, la più lunga forma di tal nome. - I alda isto "l'albero della conoscenza", isto essendo il genitivo di ista "conoscenza". Márava ar ulcava "del bene e del male" - qui gli aggettivi "buono" e "cattivo" sono in effetti usati come sostantivi; spero che ciò funzioni anche in Quenya. (Secondo QL:97, ulca significa "cattivo" primariamente in un senso morale; in un testo posteriore essp è invero tradotto "male".) Nella frase márava ar ulcava uso il caso "possessivo" o "aggettivale" in -va piuttosto che il genitivo in -o, dacché il caso va- sembra funzionare come un "oggetto genitivo" in frasi tali come nurtalë Valinóreva "occultamento di Valinor" (Silmarillion cap. 11), Valinor essendo l'oggetto logico dell'"occultamento". Nel caso dinanzi a noi, mára "buono" ed ulca "cattivo" sono gli oggetti logici della ista o "conoscenza": bene e male sono le cose che sono "conosciute".]

10 Eänë sírë i lendë et Erenello antien nén i tarwan, ar tanomello nés hyárina mir canta celumi.
         
Vi era un fiume che usciva da Eden a dare acqua al giardino, e di là era diviso in quattro corsi d'acqua. [Eänë "(vi) esisteva" = "vi era". Hyárina "diviso", letteralmente "spaccato", participio passato del verbo hyar- "spaccare", LR:389 s.v. SYAD. Forse questo potrebbe semplicemente essere hyarna, ma possiamo anche chiederci se il primitivo *syadnâ = *sjadnâ non dovrebbe fornire ?hyanda, il quale cozzerebbe con un altro vocabolo. Così preferisco la lunga desinenza participia passata -ina, combinata con l'allungamento della radice vocalica.]

11 I essë i minyo ná Píhyon; ta ná i sirë os ilya i nórë Havíla, yassë ëa malta.
         
Il nome del primo (fiume) è Pishon [Ebraico: Pîshôn]; che è quello che scorre attorno a tutta la regione (di) Havila [Chawîlâ], dove è l'oro. [Il suono Quenya che è più prossimo a sh è hy; invero i Gondoriani sostituivano sh a hy quando pronunciavano il Quenya. Perciò Quenyarizzo Pîshôn come Píhyon. Sirë "fluisce", aoristo del verbo sir- "fluire", LR:385 s.v. SIR - da non confondersi col sostantivo correlato sírë "fiume", occorrente nel verso precedente. - La non attestata preposizione os "(at)torno" è basata sulla radice AS di tale significato (LR:379) ed è stata usata anche da altri scrittori.]

12 Ar i malta tana nórëo ná mára. Tanomë ëar yando nísima suhtë ar ahyamírë.
         
E l'oro di quel paese è buono. Vi è anche la resina fragrante e la pietra onice. [L'Ebraico bedholach si riferisce alla gommaresina di bdellio, una specie di mirra fatta da una certa specie di resina fragrante; dapprima pensavo semplicemente di Quenyarizzare il vocabolo Ebraico come verola, ma nísima suhtë "gommoresina fragrante" dovrebbe grosso modo ricoprire il significato. Nísima "fragrante" è isolato da Nísimaldar "Alberi Fragranti", nome di una regione in Númenor (UT:167). Suhtë "resina, gomma" è una forma aggiornata dell'iniziale vocabolo "Qenya" di Tolkien sukte di tale significato (QL:86); egli più tardi decise che kt divenisse ht in Quenya. - Nessun vocabolo per "onice" appare da nessuna parte nel materiale pubblicato; il mio si spera non troppo zoppicante costrutto ahyamírë prefigge ahya- "cambia" (PM:395) a mírë "gioiello"; ciò dovrebbe riferirsi ai "cangianti" o alternati strati di colore trovati in un onice.]

13 Ar i essë i tatya sírëo ná Íhon; ta ná i sirë os ilya i nórë Cús.
         
Ed il nome del secondo fiume è Gihon; è quello che scorre tutt'attorno alla regione di Cush. [Tatya "secondo"; cfr. WJ:380 dove il vocabolo Tatyar è glossato "Secondi", nome del Secondo Clan degli Elfi. - Il nome Gihon, Ebraico Gîchôn, deve divenire Íhon in Quenya (potrebbe essere compitato 3ihon = Ghihon in ortografia Rúmiliana!) Normalmente hy può essere usato come il più prossimo equivalente di sh, come in Píhyon per Pîshôn sopra, ma hy non può occorrere ala fine, così Cush deve divenire Cús (con una lunga vocale come in Ebraico: Kûsh). - Nuovamente, non confondere sirë "fluisce" con sírë "fiume".]

14 Ar i essë i nelya sírëo ná Hirrecel; ta ná i celë rómessë Ahyuro. Ar i canya sírë ná Perat.
         
Ed il nome del terzo fiume è Hiddekel; è quello che va ad est dell'Assiria. Ed il quarto fiume è l'Eufrate. [Nelya "terzo", cfr. Nelyar "Terzi" come nome di un Terzo Clan degli Elfi, WJ:380. L'Ebraico Chiddeqel, evidentemente un nome del Tigri, lo Quenyarizzo come Hirrecel (usando R per D come in Eren = Eden; vedere il verso 8). Il nome Ebraico dell'Assiria, Ashshur, l'adottiamo come Ahyur, mentre Perath, l'Eufrate, può essere adottato come Perat. - Riferendosi a quello che l'Hiddekel fa ad est dell'Assiria, il testo Ebraico dice che esso "va" (holekh, effettivamente un participio presente "andante"). Per "va" potremmo naturalmente usare il normale vocabolo Quenya, lelya, ma ciò sembra un tale buon posto per usare un verbo celë, considerando che in LR:363, la radice KEL è definita "andare, correre (specialmente d'acqua)". Tale verbo non è direttamente attestato in Quenya, ma la medesima radice occorre in celumë "torrente" (pl. celumi nel verso 10). - Canya "quarto", mia invenzione basata su canta "quattro"; forse dovrebbe essere invece cantya, ma cfr. nelya piuttosto che **neldya in relazione a neldë "tre".]

15 Ar i Heru Eru mampë i Atan ar pannë so Ereno tarwassë mótien tassë ar tirien ta.
         
Ed il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden per coltivarlo (lett. lavorarvi) e custodirlo. [Utilizzo mampë come il passato di mapa- "afferrare, ghermire, prendere", sebbene il Lessico Qenya (p. 59) elenchi invece nampe. Se tale inaspettato tempo passato (dovuto a confusione con un altro verbo di significato similare) fosse ancora stato valido quando Tolkien scrisse le Etimologie, egli dovrebbe sicuramente avervelo pure menzionato, ma in LR:371 s.v. MAP-, soltanto il verbo mapa- stesso è elencato. Il pronome indipendente so "egli, ad egli" è inattestato; dovrebbe corrispondere alla desinenza -ro "egli", essa stessa rappresentando l'iniziale -so (l'intervocalica -s- divenendo dapprima -z-, quindi -r-). Comparare LR:385 s.v. S-, ove è elencato un primitivo pronome "egli" che apparirebbe come so in Quenya. - Non abbiamo nessun vocabolo per "coltivare", così semplicemente scrivo mótien tassë "lavorarvi" (sc. nel giardino); il verbo móta- "faticare, sgobbare" può avere connotazioni meno che "paradisiache", ma non posso prontamente pensare ad alcunché di meglio senza avere di che inventare nuovi vocaboli. Confrontare mótien i palúressë "lavorare sul/nel campo" nel verso 5.]

16 Ar i Heru Eru pannë i Atan nu sina sanyë: "Ilya aldallo i tarwassë nályë lávina matë.
         
Ed il Signore Dio pose l'uomo sotto tale legge: "Da ogni albero nel giardino ti è permesso di mangiare. [Decisamente lineare; difettando di un verbo "ordinare" oppure "comandare" devo introdurre un idiomatismo panya...nu...sanyë. l'Ebraico letteralmente fa: "e Yahweh Dio dette all'uomo quest'ordine, dicendo..." Lávina "permesso", participio passivo (passato) di lav- "cedere, permettere, concedere", LR:353 s.v. DAB.]

17 Nan i aldallo isto márava ar ulcava áva matë, an i auressë yassë matilyë tallo, anwavë firuvalyë."
         
Ma dall'albero de(lla) conoscenza del bene e del male non mangiare, poiché nel giorno in cui mangerai da esso, sicuramente morirai." [In Quenya, comandi negativi sono formati col vocabolo áva "non fare" + una radice verbale non inflessa, come in áva carë! "non far[lo]" (WJ:371); perciò áva matë = "non mangiare". - Tallo "da esso", ablativo di ta "quello, esso". Anwavë "sicuramente, certamente", avverbio derivato dal vocabolo attestato anwa "reale, effettivo, vero", LR:348 s.v. ANA2-.]

18 Ar equë i Heru Eru: "Umë mára sa i Atan ná eressëa. Caruvan son restar i ná ve so."
         
Ed il Signore Dio disse: "Non è bene che l'uomo sia solo. Gli farò un ausilio che sia come lui." [Umë "non è", verbo negativo (1. persona umin "non faccio, non sono", LR:396). Sa: questo è un nominalizzatore "che" secondo l'impropriamente detta "frase del Natale Elfico" che affiorò da una Tolkien-list soltanto questo Aprile (una citazione di terza generazione da una lettera che Tolkien probabilmente scrisse nei primi anni cinquanta; dobbiamo sperare che non vi sia stata alcuna distorsione cammin facendo - non è incoraggiante osservare che la citazione conteneva un ovvio errore!) - Son "(ad) egli, (per) egli", dativo di so; riguardo a tale vocabolo vedere il verso 15. Assumo che le desinenze di casi possano essere aggiunte ad esso.]

19 I Heru Eru carnë cemennen ilyë celvar palúrëo ar ilyë aiwi menelo, ar tultanérot i Atanna cenien mana estanérot.
         
Il Signore Dio formò dalla terra tutti gli animali dei campi e tutti gli uccelli del cielo, e li condusse [lett. convocò] all'uomo per vedere come li chiamasse [/avrebbe chiamati]. [Decisamente lineare. Cemennen strumentale di cemen "terra". Atanna allativo di Atan, contrazione di Atanenna. Mana "cosa" (qui significando "come", N.d.T.), PM:395.]

19 (cont.) Ya i Atan estanë ilya cuina onna, ta né esserya.
         
Come [lett. (quello) che] l'uomo chiamò ogni creatura vivente, quello fu il suo nome. [Avrei gradito sapere come dire l'equivalente di "was to be" in Quenya, invece di dover usare un semplice preterito (per noi italiani tale soluzione è viceversa senz'altro da preferire, dacché non abbiamo l'equivalente di quel "was to be" che viene qui reso dal "fu", N.d.T.).]

20 Ar i Atan estanë ilyë lamni ar i aiwi menelo ar ilyë hravani celvar, nan Atanen úméro hirë restar i né ve so.
         
E l'uomo dette un nome a tutte le bestie ed agli uccelli del cielo ed agli animali selvatici, ma per l'uomo non trovò un ausilio che fosse come lui. [Úméro hirë "egli non trovò": il verbo negativo úmë "non fece" (qui con una desinenza pronominale) combinato con la radice verbale hirë "trovare". Restar "ausilio", derivato da me dal verbo resta- "aiutare", QL:79.]

21 San i Heru Eru tyarnë núra fúmë lanta i Atanna, ar írë fumnéro, mampéro minë hónaxoryaron ar quantë hrávenen.
         
Allora il Signore Dio fece cadere un profondo sonno sull'uomo, e mentre egli dormiva, prese una delle sue costole e la rimise in carne. [Tyarnë...lanta lett. "causò... di cadere". Fúmë "sonno", LT1:253/QL:39, verbo fum- "dormire", QL:39. Nel primissimo "Qenya" di Tolkien come stabilito nel Lessico Qenya, il passato di fum- era fúme- oppure fumbe, ma penso che nel Quenya posteriore il pa. sarebbe piuttosto fumnë; comparare per esempio tamnë come il passato di tam- "bussare" (LR:390 s.v. TAM). - Non abbiamo vocaboli pronti all'uso per "costola", soltanto axo = "osso" in generale; nemmeno ovvi composti come "osso del petto" oppure "osso del fianco" possono essere ideati, daccché non abbiamo alcun vocabolo per "petto" o "fianco". Mi sono stabilito su hónaxo "osso del cuore", dacché le costole ricoprono il cuore. (Noto con piacere che anche un raffinato traduttore e linguista come l'autore del presente pezzo ogni tanto esibisce processi creativi simili a quelli talvolta impiegati nelle presenti traduzioni, N.d.T.)]

22 Ar i Heru Eru carnë i hónaxo ya mampéro i Atanello mir nís, ar tultanéros i Atanna.
         
E il Signore Dio trasformò la costola che aveva presa dall'uomo in una donna, e la condusse (lett. convocò) all'uomo. [Tultanéros "egli lo/la convocò": in posizione oggetto tendo ad usare la corta desinenza di 3. persona -s senza distinzione di genere; sembra che la desinenza ricopra l'intera 3. persona singolare. In un vocabolo attestato, Tolkien la utilizzò in un tal modo pure in posizione soggetto: Eques "disse egli" oppure "disse ella" (WJ:415); indubitabilmente eques potrebbe anche essere reso "disse esso", dacché la desinenza -s è tradotta "esso" altrove.]

23 San equë i Atan: "Sina lú nás axor axonyaron ar hrávë hrávinyo! Sina yéva estaina Nís, an Nerello nárë mapaina."
         
Quindi l'uomo disse: "Questa volta essa è ossa delle mie ossa e carne della mia carne! Questa sarà chiamata Donna, perché dall'Uomo è stata tolta." [Il gioco di parole Ebraico îsh / ishshâ = "uomo / donna" è appena efficace in inglese; la coppia Quenya nér / nís mostra soltanto un vago parallelismo (alliterazione). Dovrebbe essere inclusa una nota a pié pagina: il punto del testo Ebraico è che Adamo conia un vocabolo per "donna" aggiungendo una desinenza femminile al vocabolo per "uomo". - Hrávinyo "della mia carne", genitivo di hrávinya "mia carne" (hrávë "carne"); la desinenza -nya "mio" mostra la vocale connettiva -i- quando aggiunta ad un sostantivo che termina in una consonante (e.g. Atarinya "mio padre", LR:70), ed è stato assunto che tale -i- dovrebbe anche dimettere la vocale finale di sostantivi che terminano in -ë (non -), sebbene non ne abbiamo diretta evidenza: è possibile che "mia carne" debba semplicemente essere hrávenya invece. - È difficile dire se il participio passato di mapa- "prendere, ghermire" dovrebbe essere mapaina oppure mápina; ambedue possono essere possibili.]

24 Tanen nér autuva ataryallo ar amileryallo ar himyuva vesserya, ar yévantë minë hrávë.
         
Pertanto un uomo lascerà [lett. passerà da] suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, ed essi diverranno una carne. [Tanen "da quello", strumentale di ta "quello, esso", perciò "pertanto". Ataryallo "da suo padre": contrazione di atar-rya-llo "padre-suo-da". Per esteso ciò dovrebbe essere stato atareryallo; confrontare amileryallo per "da sua madre".]

25 Nentë heldë, i Atan ar vesserya, nan úmentë naityainë.
         
Essi erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non se ne vergognavano. [Il Lessico Qenya, p. 65, ha un vocabolo naitya- "svergognare"; il participio passato naityaina (qui pl. naityainë) dovrebbe quindi indicare "(non) vergognoso".]

Ardalambion