Ricostruendo il Sistema Verbale Sindarin

Il Ragionamento che soggiace alle Coniugazioni Suggerite

di Helge Fauskanger - traduzione di Gianluca Comastri

Introduzione
Il tempo Presente (o Aoristo?)
Il Passato
Il Futuro
Verbi Finiti con Desinenze Annesse
L'Imperativo
Il Participio Presente (Attivo)
Il Participio Perfetto (oppure, Passato Attivo)
Il Participio Passato (Passivo)
Il Gerundio
Verbi Speciali

Appendice A: Il Sistema di Tempo Passato Riveduto?
Appendice B: Una Distinzione tra Aoristo e Tempo Continuativo?
Appendice C: Fonologia Sindarin Riveduta?
Appendice D: "3a Persona" o Forme "Impersonali": una Questione di Terminologia

Introduzione

Mentre la grammatica dei linguaggi inventati da J.R.R. Tolkien generalmente appare relativamente semplice, una delle caratteristiche più complesse sembrerebbe essere la coniugazione del verbo Sindarin. Nessuna esplicita descrizione del sistema verbale Sindarin è mai stata pubblicata, e mentre tali descrizioni son dette esistere, al presente si devono ricostruire le intenzioni di Tolkien dagli esempi disponibili. Questo è un rompicapo complesso, che richiede qualche intuizione del suo sistema generale ed almeno una comprensione di base della soggiacente evoluzione fonologica ch'egli figurò.

Diversi anni addietro, ebbi il privilegio di essere edotto dell'interpretazione di David Salo del sistema verbale Sindarin. Sebbene gli scritti di David sul soggetto tuttora non siano stati presentati al pubblico, egli affabilmente mi lasciò presentare le sue conclusioni nel mio articolo sul Sindarin su Ardalambion (le sue conclusioni rimpiazzano felicemente taluni miei tentativi piuttosto inferiori di decifrare gl'intimi meccanismi dei verbi Sindarin). Più tardi stilai una lista completa virtualmente di tutti i verbi Sindarin noti, una "Coniugazione Suggerita" che dimostra come tali verbi possano - forse - essere coniugati in tutte le principali forme. Elogiata da alcuni, tale opera ha anche ricevuto un congruo ammontare di critiche, dacché non si fa distinzione tra forme relativamente certe (oppure attestate) e formazioni più ipotetiche. Dovrei evidenziare che le Coniugazioni Suggerite in nessun modo erano intese come una "dotta" opera prestigiosa che esponesse irrefutabili conclusioni circa il sistema verbale Sindarin. È, come speravo il titolo avrebbe sufficientemente ben indicato, un mero suggerimento ed un aiuto per persone che vogliano scrivere in Sindarin, così che possano trattare i verbi in una maniera che sia almeno coerente - e che sia certamente compatibile con gli esempi attestati che si hanno. Penso che sia quasi la miglior ricostruzione che ognuno possa fare, basata su ciò che al momento è disponibile. Mentre tutti si vorrebbe essere abili nel coniugare verbi Sindarin conconfidenza e certezza, una tale confidenza richiederebbe la pubblicazione di molto più materiale, e mentre ci si deve aggrappare alla speranza che tale materiale un giorno apparirà, la sua pubblicazionw sembra essere assai men che imminente. Per il momento, ed in tutta verisimiglianza per anni a venire, si dovrà tentare di fare con quel che si ha.

Le regole grammaticali che soggiacciono alle forme presentate nelle Coniugazioni Suggerite sono esposte nel mio articolo Sindarin, ma sebbene citi molti esempi dalle fonti primarie, l'interapresentazione può avere un'aria sottilmente "dogmatica", presentando un insieme di regole senzadocumentare appieno come sono state dedotte dagli esempi di Tolkien. Scrivendo tale sezione dell'articolo stavo, in effetti, descrivendo la conclusa ricostruzione di David Salo dell'intero sistema piuttosto che documentare il ragionamento dietro la ricostruzione come tale. Non faccio apologie, poiché il soggetto è alquanto complicato, ed in un articolo che ambisce a fornire potenziali scrittori di alcune linee guida piuttosto che esporre un'analisi strettamente accademica od erudita, credo una schietta presentazione sia preferibile. Comunque, ho a lungo cercato di integrare tale presentazione unificata con un articolo che si riconnetta alle fonti primarie ed esponga molto del soggiacente ragionamento. Un tale articolo sarebbe inoltre il luogo adatto per rendere una chiara distinzione tra conclusioni relativamente certe circa i verbi Sindarin, e teorie più interlocutorie le quali fanno affidamento su di una specifica interpretazione dei pochissimi esempi attestati (come il Participio Perfetto).

Le fonti: come gli studenti del Sindarin ben sanno, il linguaggio a tema Celtico dei miti di Tolkien subì molte revisioni, sia per quanto riguarda la sua interna storia che la sua struttura e fonologia. Nel Lessico del 1917 alfine pubblicato in Parma Eldalamberon #11, il linguaggio a tema Celtico si manifestava come Gnomico, il linguaggio degli "Gnomi" (Noldor). Mentre il Lessico elenca parecchi verbi ed in molti casi cita anche forme di tempo passato, il sistema verbale che s'intravede sembra piuttosto differente da quello del Sindarin, e nessuna forma dal Lessico Gnomico è considerata nel presente studio.
         Parma #13 pubblicava un gran numero di "Antichi Frammenti Noldorin", inclusi taluni scritti sul verbo Noldorin. Il "Noldorin" rappresenta uno stadio intermedio tra le primeve forme di "Gnomico" ed ilpiù tardo Sindarin di Tolkien, ed il linguaggio descritto in Parma #13 ha chiaramente compiuto significativi passi verso il Sindarin in stile SdA. Tuttavia, gki abbozzi del sistema verbale che appaiono in Parma #13 sembrano affatto interlocutori, registrando il processo creativo in sé, non descrivendo con certezza un sistema che Tolkien aveva già inventato e deciso. Nondimeno, sembrano esservi certe vaghe similarità fra tali verbi "Noldorin" ed il sistema usato nel tardo Sindarin di Tolkien, e qualche riferimento al materiale di Parma #13 è dato in basso. Comunque, tale sistema "Noldorin" nel complesso è così diverso da quello del Sindarin che in alcun modo si può farvi affidamento per colmare lacune nella conoscenza del Sindarin com'esso si manifesta in SdA ed in scritti posteriori.
         All'apparenza, il quadro cambia completamente quando si giunge al successivo stadio concettuale di maggior rilievo: il "Noldorin" delle Etimologie (LR:347-400). Dai modelli del campo della linguistica Tolkieniana, tale opera fornise moltissimi verbi Noldorin, ed anche parecchie forme coniugate. Eccetto che per certi futili dettagli fonologici, i verbi Noldorin delle Etimologie sembrano affatto compatibili con i campioni di Sindarin che si hanno. In altri termini, sembra che virtualmente tutto questo tardo materiale Noldorin ed i verbi attestati in Sindarin vero e proprio possano essere ordinati in un sistema coerente, come se da Etim in poi, Tolkien mantenesse il sistema di base. Innegabilmente, è il materiale Noldorin dalle Etimologie piuttosto che gli scarsi esempi di Sindarin vero e proprio la principale fonte per tale studio. Tale forma posteriore di Noldorin sembra così simile al Sindarin che alcuni rischierebbero di contare su di essa riguardo ai tratti del sistema verbale Sindarin che al presente non sono attestati nei testi di SdA e campioni posteriori (tali come gli infiniti in -o od -i).
         Finalmente si ha il "Sindarin vero e proprio": campioni di Sindarin che Tolkien pubblicò sotto il nome di Sindarin in SdA, così come tutti i campioni post-SdA del principale linguaggio a tema Celtico. Scrivendo le appendici a SdA, Tolkien alfine decise che tale linguaggio non era dopo tutto la lingua che i Noldor recarono da Valinor alla Terra di Mezzo, ma il vernacolo degli Elfi nativi della Terra di Mezzo occidentale (i Sindar o Elfi Grigi). Tutti i maggiori testi del corpus Sindarin sono elencati presso l'inizio del mio articolo ufficiale sul Sindarin. Per molti di essi il riferimento è per nome: La Lettera Reale (forse effettivamente Noldorin assai tardo, ma se tale testo predati o no la revisione Noldorin/Sindarin della storia interna del linguaggio è principalmente una questione accademica), il Canto di Lúthien, A Elbereth Gilthoniel ed il linnod di Gilraen. Per riferimenti, vedere il mio articolo principale sul Sindarin.
         Certo, tutti i campioni di "Sindarin vero e proprio" possono non necessariamente appartenere alla medesima fase concettuale. Certamente Tolkien non smise d'improvviso di sviluppare i suoi linguaggi una volta ch'ebbe pubblicato SdA, sebbene tentasse di mantenerli compatibili coi campioni che aveva pubblicato. Certe idee post-SdA circa la fonologia del Sindarin che furono pubblicate in VT42:27 certamente non s'attagliano al sistema qui delineato (vedere l'Appendice C), ma neppure s'attagliano tutti gli altri campioni di Sindarin vero e proprio. Tolkien evidentemente teneva esperimenti, e il nostro compito qui non è di mappare ogni sviluppo concettuale, ma ricostruire un sistema che s'adatti per quanto possibile al materiale disponibile.

L'Infinito

Nessun esempio certo di un infinito è attestato in Sindarin vero e proprio. La Lettera Reale pare usi gerundi in luogo degli infiniti. Per quanto è noto, Tolkien può aver smesso la sorta d'infiniti che si procederà a discutere in basso, decidendo che il Sindarin usi invece gerundi.

Il Noldorin delle Etimologie esibisce speciali forme infinite, e sebbene lavalidità concettuale delle rilevanti forme nel Sindarin posteriore di Tolkien non sia interamente certa, tali caratteri del Noldorin certamente meritano attenzione. In Noldorin in stile Etim, appaiono due desinenze infinite. Una di esse è -i, la quale discende dall'Antico Noldorin -ie (osservare che l'AN trenarie è esplicitamente denominata una forma "inf." alla voce NAR2); perciò tali forme sono in origine correlate alla desinenza gerundia o infinita Quenya -ie (UT:317). Esempi di infiniti Noldorin in -i: blebi "battere" (radice PALAP), degi "uccidere" (NDAK; l'inf. AN ndakie è dato), deri "smettere" (DAR), echedi "foggiare" (KAT), esgeri "tagliare, amputate" (OS), egledhi "andare in esilio" (LED; leggere -dl- per -gl- in Sindarin; la forma AN et-ledie è data), gedi "catturare" (GAT), giri "rabbrividire" (GIR), gwedi "legare" (WED; tale verbo dovrebbe evidentemente leggersi *gwedhi), hedi "scagliare" (KHAT), lhefi "leccare" (LAB; in fonologia e compitazione in stile Sindarin, leggere *levi), medi "mangiare" (MAT), nestegi "inserire" (STAK; tema AN nestak- dato), ortheri "conquistare" (TUR), teli "giungere" (TUL), tegi "guidare" (TUK), thribi "graffiare" (SRIP; in fonologia in stile Sindarin, leggere *rhibi), tiri "guardare" (TIR), treneri "raccontare" (NAR2). Nel caso di blebi, degi, teli, tegi e thribi, le glosse inglesi di Tolkien includono esplicitamente il marcatore inglese infinito "to". Osservare anche che treneri è detto discendere da trenarie, e come notato in alto, quest'ultima è esplicitamenta denominata una forma "inf." (voce NAR2).
          I verbi che ricevono la desinenza infinita -i sembrano essere cosiddetti verbi "di base" o "primari", vale a dire, verbi che rappresentano un radicale primitivo senza desinenza derivazionale suffissa alla radice stessa (sebbene qualche elemento prefisso possa essere presente, come or- in ortheri). Come si vedrà, tali verbi preferiscono -i non soltanto come una desinenza infinita ma anche come una vocale connettiva prima di suffissi pronominali, così i ricercatori (post-Tolkien) si sono anche riferiti ad essi come ai verbi con radice in I-.
          Dovrebbe notarsi che la desinenza infinita -i causa umlaut, così che dove la desinenza è aggiunta ad una radice verbale che include la vocale a oppure o, essa muta in e (l'umlaut prodotto da o era originariamente ö, pronunciato come in Tedesco, ma tale ö più tardi si fuse con la e). Così utilizzando esempi dalla lista in alto, l'infinito Antico Noldorin ndakie dà il Noldorin degi (non *dagi), ed il verbo tol- "giungere" (cfr. l'imperativo Sindarin tolo, VT44:21) ha la forma infinita teli (arcaico *töli). In molti casi, la o delle radici verbali come appaiono in Noldorin/Sindarin non è originale, ma è stata alterata dalla primitiva u: il verbo tol- stesso viene da un radicale TUL-. Comunque, l'originale o si comporta esattamente allo stesso modo quando subisce umlaut: l'infinito esgeri "amputare" è apparentemente inteso come sviluppato sa *os-skarie, letteralmente "che taglia attorno", l'elemento prefisso rappresentando il radicale OS "attorno, su". Un'altra forma del medesimo verbo è data come osgar, e la radice del verbo è citata anche meglio come osgar-. Tale esempio (osgar- vs. l'infinito esgeri) dimostra anche che l'umlaut a/o > e può essere portato dall'inizio alla fine in tutte le sillabe di un tema verbale più lungo. Tuttavia, un prefisso non ha necessariamente umlaut se è ancora riconosciuto come tale. Nel caso di ortheri "conquistare" o letteralmente *"soverchiare" (voce TUR), il prefisso or- "sovra" non è affetto dall'umlaut (non **ertheri).
          I dizionari inglesi elencano i verbi dalle loro forme infinite, ma questa non è una soluzione felice in Sindarin: l'umlaut che volge a/o in e cancella anche informazioni necessarie a coniugare un verbo correttamente. Dotati di una forma infinita come deri "smettere", non si può sapere se il soggiacente tema verbale sia dar-, **der- o **dor-. Esso è effettivamente dar-, e tale radice appare immutata, diciamo, nell'imperativo daro! (vedere Etim, voce DAR), ma se si conoscesse solo l'infinito deri, l'imperativo potrebbe eziandio essere **dero oppure **doro. Così per scopi lessicali, i verbi che all'infinito appaiono come blebi, echedi, egledhi (Sindarin *edledhi), esgeri, deri, gedi, hedi, lhefi (S. *levi), medi, nestegi, ortheri and tegi sono meglio elencati come blab-, echad-, egledh- (S. *edledh-), osgar-, dar-, gad-, had-, lhaf- (S. *lav-), mad-, nestag-, orthor-, tog-. Un altro termine per tale specie di verbi potrebbe quindi essere radici consonantiche, dacché i loro temi terminano in una consonante piuttosto che una vocale. Una regola per costruire infiniti Sindarin (o perlomeno Noldorin) può pertanto essere affermata come segue: "A radici che terminano in una consonante, aggiungere il suffisso -i, e se a od o appaiono nel tema verbale, mutare tale vocale in e." Nel caso di gad- "catturare", Tolkien stesso elencò sia tale forma radicale che l'infinito gedi (GAT). Certi altri verbi sono elencati solamente come forme radicali, senza menzione della forma infinita, e.g. hab- "vestire", rhib- "fluire come un [?torrente]", nag- "mordere", gonod- "contare" (KHAP, RIP, NAK, ). Si può dire con una certa fiducia che nel Noldorin in stile Etim almeno, gli infiniti di tali verbi sarebbero *hebi, *rhibi (in Sindarin, leggere r- per rh-), *negi, *genedi. Quest'ultimo verbo potrebbe anche essere *gonedi nella misura in cui go- era ancora riconosciuto come un prefisso distinto e pertanto senza umlaut (go-nod- è letteralmente "assieme-contare" = conteggiare).
          Le vocali i ed e non sono affette dall'umlaut; quindi il verbo tir- "guardare" ha l'infinito tiri, e la sillaba iniziale di echad- "foggiare" è inalterata nella forma infinita echedi (TIR, KAT). Cfr. anche redi "seminare" dal radicale RED, sebbene come notato in alto, ciò dovrebbe evidentemente leggersi *redhi (molti altri esempi mostrano che l'originale d post-vocalica diviene dh in Noldorin/Sindarin, ed il passato del medesimo verbo è pure dato come reðant = redhant).

In aggiunta alla desinenza infinita -i, il Noldorin in stile Etim ha anche la desinenza infinita -o, la qual desinenza è più comune. Invero la maggior parte dei verbi Noldorin elencati nelle Etimologie sono citati con la desinenza infinita -o. Il fatto che tali forme siano realmente are infinite è apparentemente confermato dalla voce THÊ: qui è elencato un verbo thio "sembrare", ed immediatamente dopo è detto che thia significa "appare". Sebbene le glosse inglesi differiscano alquanto, sembrerebbe che thia sia il presente (o aoristo) del verbo che all'infinito appare come thio.
          I verbi che hanno infiniti in -o son visti come verbi prevalentemente derivati: tali verbi non rappresentano una nuda radice, ma sono formati da un radicale suffissando qualche desinenza derivazionale, assai sovente l'originale - od -. In Quenya tali desinenze risultano come -ya o -ta. In Noldorin/Sindarin la prima desinenza diviene -ia e l'ultima -da, -tha, -ta o -na, dipenddendo dall'ambientazione fonologica. Molto più rare sono le desinenze originali - (> Noldorin/Sindarin -na), *- (> la), - (> -ra) o la semplice *-â (> a). Tali verbi possono essere definiti radici in A-, dacché terminano tutti in -a. Nelle Etimologie tali verbi sono usualmente (ma non coerentemente) citati con la desinenza infinita -o annessa, la qual desinenza destituisce la finale -a. Specialmente interessante a tale riguardo è la voce LEK. Qui un verbo è dapprima citato come lheitho "rilasciare" (con desinenza infinita -o), poi Christopher Tolkien cita "una svista che accompagna queste etimologie", dove il medesimo verbo è citato come leithia senza la desinenza -o annessa. (La variazione iniziale lh- vs. l- è inconseguente, riflettendo l'indecisione di Tolkien riguardo ad un dettaglio fonologico; in Sindarin egli adottò l-.) Esempi di verbi derivati con la desinenza -o annessa:

berio "proteggere" (Etim, voce BAR)
anno "dare" (ANA1)
gwesto "imprecare" (WED)
gwatho "lordare, macchiare" (WA3)
mudo "sgobbare" ()
harno "ferire" (SKAR)
glavro "balbettare" (GLAM)
bauglo "opprimere" (MBAW)
Di queste, berio è un esempio di un originale tema - (la forma primitiva baryâ- è citata), laddove anno, gwesto, gwatho e mudo dimostrano le varie possibili risultanze delle originali radici - (primitivi *antâ, *wedtâ, wa3tâ e *môtâ; la forma wa3tâ fu citata da Tolkien medesimo). I verbi harno, glavro e bauglo mostrano le molto più rare desinenze *-, *- e *-; tali verbi possono esser riferiti a *skarnâ, *glamrâ, *mbauklâ. Il suffisso originale *- sembra essere estremamente raro come desinenza verbale; è apparentemente attestato nel vocabolo bauglo soltanto.
          In termini di fonologia diacronica, -o non è realmente una desinenza infinita che è annessa ad un verbo e "depone" una -a finale, sebbene la regola possa essere così formulata a fini pedagogici (come sopra). In origine, la -o finale vista nelle forme infinite di tal classe di verbi è la -a finale del tema: è semplicemente un'altra risultanza fonologica dell'originale -â finale. Per esempio, Tolkien riferì l'infinito matho "maneggiare" all'Antico Noldorin matthô-be. Qui un'esplicita desinenza infinita -be è presente, aggiunta a matthô-, la quale a sua volta giunge dalla radice primitiva - ma3-tâ (tali forme sono date in Etim, voce MA3, e anche la desinenza -be ricorre ripetutamente in Etim - vedere la sezione "I Verbi" nel mio articolo sull'Antico Sindarin). In matthô-be, l'originale â lunga era già divenuta ô lunga, la normale risultanza dell'originale â lunga in Antico Noldorin. Sulla via per il Noldorin classico, la desinenza infinita -be è ridotta a nulla, ed -ô alla fine divenne una -o finale (matthô-be > matho). Ma mentre era ancora presente, la desinenza infinita -be aveva fornito un'ambientazione fonologica ove l'originale -â poteva risultare come -o in Noldorin, così una distinta forma infinita delle radici in A- esisteva ancora nel linguaggio posteriore. Al presente non si può dire esattamente in che misura tale scenario sopravviveva ancora quando il Noldorin era divenuto Sindarin.
          Come notato in alto, la desinenza infinita -i sembra essere tipica dei verbi "di base" o non derivati, che rappresentano una radice originale senza suffissi derivazionali aggiunti. Comunque, vi sono pochi verbi che possono sembrare di tal fatta e in più ricevono la desinenza infinita alternativa -o: brono "durare, sopravvivere" (BORON), dravo "sbozzare" (DARÁM), faro "cacciare" (SPAR), galo "crescere" (GALA), garo "detenere, avere" (3AR), naro "dire" (NAR2), sogo "bere" (SUK), tobo "coprire" (TOP), thoro "cingere" (THUR; i verbi galo, garo, thoro sono citati con un trattino finale, "galo-" etc., ma a dispetto del trattino, tali forme sembrano essere infiniti in -o piuttosto che qualche sorta di curiosi verbi "con radice in O-"). Come si è appena dimostrato, gli infiniti in -o storicamente discendono dalla -â ove essa era seguita dal marcatore infinito -be. Pertanto, il primo assunto dovrebbe essere che tali verbi siano esempi della più semplice sorta di verbi derivati, quelli che originariamente mostravano soltanto la semplice desinenza -â. Tali semplici radici in A- esistono nel linguaggio. Per esempio, dal radicale LUT si ha lhoda "fluttuare", la forma infinita del quale è pressoché certamente *lhodo (in Sindarin, leggere l- per il Noldorin lh-). Si dovrebe quindi assumere che brono, dravo, faro etc. siano le forme infinite di semplici radici in A- *brona-, *drava-, *fara- e così via? La forma infinita faro "cacciare" Tolkien invero la riferì all'Antico Noldorin (s)pharóbe, e la parte (s)pharó- di tale forma infinita assai verosimilmente ritorna una semplice radice in A- *sparâ-. L'infinito naro "narrare" Tolkien lo riferì anche ad una forma Antico Noldorin con l'antico marcatore infinito -be: naróbe (vedere Etim, voci SPAR, NAR2 - naróbe è assai sorprendentemente tradotto "egli racconta una storia" sebbene tutte le altre evidenze suggeriscano che sia piuttosto un infinito "raccontare una storia"; la glossa fornita non dovrebbe essere presa alla lettera). Le prime due sillabe della forma naróbe suggeriscono un'originale semplice radice in A- *narâ-.
          Così alcuni dei verbi elencati in alto devono invero essere esempi della specie più semplice di radici in A-. Altri possono avere una storia più complicata dietro di sé. La medesima voce che elenca la forma brono "durare, sopravvivere" fornisce anche un infinito Antico Noldorin bronie dal medesimo significato. Quest'ultimo dovrebbe aver prodotto il Noldorin (*bröni >) *breni, il quale invero sarebbe il più tipico infinito di un tema consonantico bron-. Quando si vede invece brono, questa può assumersi come un'indicazione che l'assai frequente desinenza infinita -o aveva preso a diffondersi dalle radici in A- (dov'è storicamente giustificata) alle meno numerose radici consonantiche (dove la -o può essere presente soltanto per analogia con le vere radici in A-).
          Alla voce GAR, Tolkien menziona un verbo gar- "detenere, possedere": chiaramente un verbo "di base", o tema consonantico. Quindi depennò tale voce, ma il radicale GAR- apparentemente rimase concettualmente valido, poiché è anche menzionato sotto 3AR. Qui un infinito garo "detenere, avere" è menzionato. Se il tema consonantico gar- elencato sotto GAR rimanesse valido nonostante la voce come tale fosse cancellata, allora garo sembrerebbe essere un altro esempio di un verbo di base con un infinito in -o piuttosto che -i. Dovrebbe anche essere notato che dopo aver menzionato l'infinito garo, Tolkien citò anche la forma gerin "io ho, detengo". Come si dimontrerà in basso, da un verbo con infinito in -o normalmente ci si aspetterebbe avesse una forma di tempo presente in -a, oppure quando seguito dalla desinenza -n "io", -o-. Così in base alla forma infinita garo, la 1a persona presente "io ho/detengo" sarebbe normalmente attesa come **garon. L'effettiva forma gerin è piuttosto quel che ci si aspetterebbe se questa fosse un tema consonantico gar-, e sembrerebbe che ciò sia precisamente quel che è: tale verbo è meramente eccezionale nel formare il suo infinito in -o piuttosto che -i.
          Un caso comparabile potrebbe essere sogo "bere" (SUK). Ci si aspetterebbe che un verbo con un tale infinito apparisse come **soga al presente (privo di desinenza), ma Tolkien effettivamente menzionò la forma sôg, la quale somiglia al presente di una radice consonantica sog-. Questa potrebbe essere citata come possibile evidenza del fatto che per analogia, la desinenza infinita -o inizia a spandersi dalle radici in A- ai temi consonantici, ma è anche possible che sia piuttosto la forma sôg che è qui irregolare, e che sogo "bere" sia il regolare infinito di una radice in A- *soga- (così nelle mie Coniugazioni Suggerite). È pure possibile che una forma di tempo presente come sôg sia regolare per una radice in A- corta come *soga- (vedere in basso riguardo alle "Coniugazioni Miste"), e quindi sôg non proverebbe nulla al postutto. Non è dato sapere.
          In VT44:30, commentando su di un testo Sindarin post-SdA, Bill Welden cita un verbo caro, che glossa come "fare". Mentre la forma caro ricorre nel testo che commenta, esso ivi è un imperativo, non un infinito. Se Welden, un membro della squadra che cura per la pubblicazione i manoscritti linguistici di Tolkien, con ciò conferma che caro esisteva in Sindarin come un infinito "fare", sarebbe altamente interessante per diverse ragioni. Per prima cosa, questa sarebbe la prima attestazione di -o come una desinenza infinita in Sindarin vero e proprio; per altri versi non v'è attestazione d'essa che postdati il Noldorin delle Etimologie. D'altronde, car- "creare, fare" è propriamente una radice consonantica, come indicato dalla forma pl. presente (o aoristo?) cerir che ricorre anche nel testo su cui Welden commenta (VT44:22): se questo fosse un verbo con radice in A-, si vedrebbe piuttosto *carar qui. Se caro è invero la forma Sindarin infinitia di car-, questo sarebbe un altro esempio di -o come desinenza infinita che si spande alle radici consonantiche. Car- non è elencato come un verbo Noldorin in Etim (sebbene il tema KAR- "fare, creare" vi appaia), ma l'infinito di un tale verbo sarebbe verosimilmente *ceri - comparare, per esempio, deri come l'infinito di dar- "arrestare, fermare" (radice DAR). Pertanto, la mia lista di coniugazioni suggerite di tutti i verbi Sindarin correntemente suggerisce *ceri come l'infinito "fare". Sfortunatamente, Mr. Welden non ha dimostrato alcun volere di chiarificare tale faccenda.

Così per compendiare: nel Noldorin delle Etimologie, verbi con radice in A- hanno forme infinite in -o, laddove temi consonantici tipicamente hanno forme infinite in -i (che causa umlaut nella radice cui è aggiunta, così che a/o diviene e). Comunque, alcune radici consonantiche sembrano formare invece le loro forme infinite in -o, con ogni possibilità per analogia con le più numerose radici in A-.

Verbi finiti: Si procederà ora a discutere varie forme finite dei verbi Noldorin/Sindarin. In tale disamina iniziale, principalmente (sebbene non esclusivamente) ci si focalizzerà sul verbo come appare senza desinenze annesse. Le desinenze pronominali che i verbi finiti possono ricevere, e come influenzano la conformazione del verbo stesso, saranno discusse in una sezione speciale in basso.

Il Tempo Presente (o Aoristo?)

I verbi Sindarin con radici in A-(con infiniti in -o) son visti avere forme di tempo presente identiche al tema del verbo stesso; i.e., il presente termina in -a. Nel corpus SdA si ha penna come la forma presente "s'inclina" in A Elbereth Gilthoniel (cfr. la traduzione interlineare in RGEO:72). Vi sono ben poche ragioni di dubitare che la forma radicale di tale verbo è parimenti penna-, un derivativo del radicale PEN, WJ:408. (Forme primitive plausibili sono *pentâ- o *pennâ-; ambedue risulterebbero come penna- in Sindarin.)
          Con la desinenza plurale -r a indicare un soggetto plurale, il presente di cuino "essere vivo" si trova nella relativa frase contenuta nel nome Dor Firn i guinar "Terra dei Morti Viventi" (menzionata alla voce KUY in Etim). La lenizione di c in g, causata dal precedente pronome relativo i, è accidentale; per i nostri propositi si può citare la forma come [c]uinar. Non v'è ragione di dubitare che tale forma presente apparirebbe come cuina se la desinenza plurale fosse rimossa; tale forma è invero attestata pure in un altro sperimentale nome della Terra dei Morti Viventi, Gwerth-i-Cuina (WJ:132). Tale forma del nome sembra abnorme per diverse ragioni, ma apparentemente conferma cuina come il presente di cuino "essere vivo".
          Le Etimologie sembrano supportare tale ricostruzione. Nessun verbo con radice in A- è citato in una forma che sia esplicitamente identificata come il tempo presente, ma vi è la coppia di forme già citate: thia "appare" vs. thio "sembrare" (voce THÊ). Apparentemente thia è il presente e thio l'infinito. Un altro possibile esempio di una forma presente è gwinna, elencata alla voce WIN. Tale voce alla fine fu depennata, ma gwinna era un verbo glossato "svanire" o "advesperascit" (Latino per "la sera s'avvicina"). Questo potrebbe essere un genuino presente in -a. Certo, molti verbi in -a che sono elencati nelle Etimologie non possono esser visti come forme di tempo presente; Tolkien mise meramente per iscritto le forme radicali di base del verbo (e.g. doltha "celare", voce DUL - sebbene la forma presente "cela" evidentemente sia ugualmente *doltha). Più comunemente, egli cita i verbi con radice in A- come forme infinite in -o.
          Quanto ai temi consonantici, non hanno desinenza in 3a persona sg. presente. Dove il tema del verbo consiste di una singola sillaba, tale unica sillaba è comunque vista come allungata al presente, ed in accordo con la normale compitazione Sindarin, una vocale lunga in un vocabolo monosillabico è marcata da un accento circonflesso. Perciò il presente di tol- "giungere" è tôl "giunge" (WJ:254). Il presente di ped- "parlare" è [p]êd, attestato in forma lenita bêd in VT41:11. Immediatamente dopo aver elencato l'infinito lhefi "leccare" alla voce LAB in Etim, Tolkien menzionò anche una forma indefinita lhâf; questa è con tutta probabilità la 3a persona sg. presente *"lecca". In Sindarin, si deve leggere *levi per lhefi (assumendo che tale formazione infinita sia tuttora valida), ma il presente privo di desinenza dovrebbe ancora avere la -f finale: *lâf. Ciò semplicemente in quanto la finale -v è compitata -f nell'ortografia Romana per il Sindarin; *lâf è pertanto da pronunciarsi "lâv", e così sarebbe compitato in Tengwar. Tale complicazione extra ha corso soltanto nella compitazione Romana "trascritta" del Sindarin, ma dev'essere osservata nel caso di radici consonantiche in -v. (Comunque, *lav- "leccare" sembra essere il solo esempio attestato d'un tal verbo.)
          Nel caso di temi verbali polisillabici, l'allungameto della vocale visto in forme come tôl "giunge" non ha corso. Perciò il verbo osgar- "tagliare, amputare" (inf. esgeri) ha la "3[a persona] sg." presente osgar, menzionata alla voce OS in Etim. Il verbo orthor- "dominare, conquistare" (inf. ortheri) parimenti ha la forma di "3 sg." orthor, elencata alla voce TUR. Così si deve assumere che la 3a persona sg. presente d'un verbo come gonod- "conteggiare, calcolare" sia semplicemente *gonod.
          Alla voce SUK, la "3[a persona] sg. [presente]" del verbo sogo "bere" è data come sôg. Qui sog- si comporta come un tema consonantico, a dispetto del fatto d'avere l'infinito sogo invece di *segi. Nel medesimo luogo, il verbo garo "avere, detenere" è detto avere la 1a persona presente gerin, puntando a *gâr come alla corrispondente di forma 3a persona sg. (se si assume che gar- sia una beneducata radice consonantica eccetto che per il fatto che il suo infinito sia garo invece di **geri). La questione rimane su come trattare gli altri verbi che possono somigliare a verbi non derivati (temi consonantici) e però ricevono la desinenza infinita -o: brono "durare, sopravvivere", dravo "sbozzare", faro "cacciare", galo "crescere", naro "dire", sogo "bere", tobo "coprire", thoro "cingere". Come argomentato in alto, almeni alcune di queste sono evidentemente "semplici" radici in A-, originariamente derivate aggiungendo la corta desinenza -â al radicale. Se si comportassero come le radici in A- più lunghe (e.g. penna "s'inclina") dovrebbero terminare in -a al presente, così che, diciamo, l'infinito faro "cacciare" corrisponderebbe alla forma di tempo presente *fara "egli caccia". Nelle nostre Coniugazioni Suggerite si presume che garo "detenere, avere" sia una forma infinita "irregolare" (irregolare a causa del fatto che assume la desinenza -o invece di -i), e che per altri versi, tale verbo dovrebbe essere trattato come una radice consonantica gar-. Questo, può assumersi, è ciò che Tolkien voleva indicare menzionando esplicitamente la forma gerin "detengo, ho" qui. Nel caso di altri verbi dalla conformazione comparabile (brono, dravo ecc.), le mie Coniugazioni Suggerite sono basate sull'assunto che tali verbi sono ora trattati come regolari radici in A-, così che hanno forme di tempo presente in -a: *brona "dura", *drava "sbozza" ecc. Certo, tale assunto non può essere realmente convalidato, ed altre interpretazioni egualmente compatibili con le succinte evidenze sono certamente possibili. Per esempio, brono "durare" dovrebbe forse piuttosto apparire come *brôn al presente, così come la 3a sg. presente di sogo "bere" è data come sôg (vedere voce SUK). La veduta che si coglie nella versione corrente delle nostre Coniugazioni Suggerite è che sôg sia una forma irregolare e che sia questo il perché Tolkien citò tale forma separatamente, ma ovviamente non v'è modo d'esserne certi. È difficile sapere se ci si può sentir liberi di dismettere come "irregolare" un esempio chenon s'attaglia prontamente ai modelli "regolari" quando tali modelli sono ricostruiti da pochissimi esempi - alcuni dei quali potrebbero essere esplicitamente menzionati a causa dell'essere essi stessi irregolari, per quanto se ne conosce.

Finalmente può essere notato che quello che qui si chiama presente di radici consonantiche sembra essere affine alle forme aoristo Quenya. Per esempio, la forma tôl "giunge" apparentemente corrisponde al Quenya tule; invero tule sarebbe ancora la forma del verbo allo stadio dell'evoluzione linguistica che Tolkien nelle Etimologie chiama Antico Noldorin (più o meno = il "Sindarin preistorico" di fonti posteriori). Come si discuterà in basso, i temi consonantici mostrano la vocale connettiva -i- prima di desinenze, come gli aoristi Quenya: il Quenya tulin "giungo" corrisponde al Noldorin (e probabilmente Sindarin) telin del medesimo significato. Non è correntemente noto se il Sindarin faccia una distinzione tra il presente/continuativo e l'oaorist (come il Quenya túla "sta giungendo" vs. tule "giunge"). Una più piena discussione di tale problema si troverà in basso. Se vi fosse una tal distinzione, le forme "presenti" di radici consonantiche che si discutono qui sarebbero probabilmente quel che Tolkien avrebbe piuttosto definite aoristi.

Il Passato

In due casi, Tolkien nelle Etimologie cita la forma passata dei verbi con radici in A- (i verbi citati essi stessi come infiniti in -o): ortho "elevare", pa. orthant (ORO) e tirio "guardare", pa. tiriant (TIR). Diversamente da tiriant, la forma orthant non è esplicitamente identificata come una forma passata, ma è difficile immaginare quale altra possa essere (vedere le voci SUK e WED per analogiche forme in -ant che Tolkien chiamò esplicitamente forme passate). Gli esempi orth[a]- vs. orthant e tiri[a]- vs. tiriant sembrerebbero indicare che verbi con radici in A- formino i loro passati in -nt. Cio si può certo chiedere se si può sentirsi liberi di generalizzare da solamente due esempi: forse Tolkien menzionò esplicitamente queste forme passate poiché sono in qualche modo irregolari! Comunque, dovrebbe essere notato che le Etimologie elencano anche il verbo teitho "scrivere" (TEK). Qui nessuna forma passata è citata; se essa fosse stata in qualunque modo irregolare o speciale, si può presumere che sarebbe stata menzionata. Però il passato di tale verbo compare in SdA, nell'iscrizione del Cancello di Moria: Celebrimbor o Eregion teithant i thiw hin, "Celebrimbor dell'Agrifogliere tracciò [oppure, scrisse] questi segni". Ciò fornisce alcune basi per assumere che il passato delle radici in A- regolari è invero formato col suffisso -nt. Vi sono altre prove indirette che supportano tale conclusione: aggiungere -nt ad una radice in A- naturalmente produce un vocabolo in -ant, e si vede che alcuni verbi hanno forme passate in -ant che non possono essere storicamente giustificate; esse devono piuttosto essere viste come analogiche. Indirettamente, ciò suggerisce che forme passate che terminano in -ant siano assai comuni nel linguaggio; per irrefrenabile analogia esse hanno pure iniziato a spandersi ai verbi ai quali originariamente non appartenevano. Se le numerosissime radici in A- ricevono regolarmente la desinenza -nt al passato, tali forme dovrebbero invero essere frequenti. Infine, la forma prestannen "influenzato" data alla voce PERES sembra essere il participio passato (passivo) del verbo presto "influenzare" dato alla medesima voce. Come più tardi si dimostrerà, i participi passati passivi Sindarin son formati aggiungendo -en alla forma passata. Rammentando che in Noldorin in stile Etim-, il gruppo nt diviene nn tra due vocali, si può discernere una forma passata *prestant che soggiace al participio passato prestannen.

Tali radici consonantiche più brevi hanno un'altra storia. Ove terminino in alcuna delle occlusive sonore -b, -d, o -g, formano i loro tempi passati per infissione dall'omorganica nasale prima della consonante. Quindi si ha l'infisso m prima della b ed n prima della d. Prima di g si ha il suono di ng come nell'inglese song, il qual suono Tolkien talvolta rappresentò come ñ. Tuttavia, nella rilevante classe di formazioni passate l'infisso ñ è semplicemente scritto n nella normale ortografia Romana del Noldorin/Sindarin (dacché prima di un suono velare, la pronunzia corretta viene naturale a chi parla inglese; comparare la pronuncia della n nell'inglese think). Vi è una complicazione in più: seguendo una vocale, le occlusive sonore -b, -d e -g storicamente discendono dalle occlusive afone -p, -t, -k (o in ortografia Sindarin, -c). Ove la nasale infissa s'introdusse prima di taliconsonanti afone, e nessun'altra desinenza seguiva, la loro originale qualità sorda persistette. Quindi le radici consonantiche che terminano in -b, -d ed -g hanno forme passate in -mp, -nt e -nc, rispettivamente. Per esempio, il verbo ped- "dire, parlare" (cfr. l'imperativo pedo nell'iscrizione sul Cancello di Moria) discende dal preistorico Sindarin *pet-, ed il passato con nasale infissa riflette tale forma più antica: "disse, parlò" è pent (citato nella cosiddetta Banda di Turin, mostrata da C. F. Hostetter a D. Salo il 6 ottobre 1996). Comparare gli affini Quenya: quet-, pa. quente.

Esempi di forme di tempo passato nasalizzate dalle Etimologie:

hant come pa. di had- "scagliare" (inf. hedi, voce KHAT)
trevant come pa. di trevad- "traversare" (inf. trevedi, BAT)
echant come pa. di echad- "foggiare" (inf. echedi, KAT)
nestanc come pa. di nestag- "inserire" (inf. nestegi, STAK)
rhimp come pa. di rhib- "fluire come un [?torrente]" (RIP; leggere r- per rh- in Sindarin)

La forma rhimp elencata immediatamente dopo rhib- alla voce RIP non é esplicitamente detta essere una forma passata, ma può a stento essere alcunché d'altro, data l'enunciazione di tal voce. (Rhimp s'intrude tra rhib- e rhimmo, apparentemente due verbi sinonimi "fluire come un [?torrente]"; la glossa parzialmente illegiblie segue soltanto dopo rhimmo. Apparentemente rhimp è assunto come una forma del verbo rhib- elencato immediatamente prima, e quindi può solamente essere il passato.)
          Alla voce NDAK, sono elencati l'infinito Antico Noldorin ndakie "uccidere" ed il corrispondente passato con nasale infissa ndanke. Ndakie fa mostra di dare il tardo Noldorin degi "uccidere". La forma posteriore di ndanke non è data, ma dovrebbe essere *danc, soggiacente all'attestato participio passato dangen "ucciso" (< primevo Lindarin *ndankênâ; comparare la forma participia passata "ricostruita" di Tolkien tháurênâ alla voce THUR).
          Una forma passata sog- "bere" (inf. sogo) è data come sunc alla voce SUK. Tale intestazione di voce spiega perché la vocale radicale all'apparenza trasla da o a u nella forma passata: il radicale originale invero aveva la vocale radicale u, e mentre tale vocale in moltissimi casi divenne o in Noldorin/Sindarin, tale scostamento non ebbe corso prima di nasali. Ciò contrasta, per esempio, con due derivativi del tema LUT "fluttuare": il verbo lhoda dalla medesima accezione, ed il sostantivo lhunt "nave" (in Sindarin, leggere l- per lh-). Così effettivamente è il passato sunc che preserva l'originale qualità della vocale radicale, laddove essa è mutata in o nella maggior parte delle altre forme del verbo (come l'infinito sogo). Comunque, dacché Tolkien in almeno una fonte post-SdA citò il radicale Elfico per "bere" come SOK piuttosto che SUK (VT39:11), può non essere necessariamente un peccato mortale lasciare il passato come *sonc invece di sunc. (I verbi con "radice in U-" sono elencati ed ulteriormente discussi nella sezione Verbi Speciali in basso.)
          Vi è anche un esempio di infissione nasale in un verbo il tema del quale originariamente terminava in -d: dal radicale WED proviene il verbo gwed[h]- "legare" (inf. gwed[h]i dato) con passato gwend oppure gwenn. (Quest'ultima è intesa come una forma assimilata di gwend. Nel tardo Sindarin di Tolkien si può forse avere soltanto gwend, poiché nell'Appendice E ad SdA, Tolkien commentò sulla modifica da nd a nn e scrisse che non occorreva "alla fine di monosillabi pienamente accentati".) Cito il verbo gwed[h]- in tal foggia in quanto alla voce WED, esso appare come gwedi "legare". Comunque, questo deve essere un errore per *gwedhi-, o Tolkien od il trascrittore sono da biasimarsi: molti altri esempi mostrano che seguendo una vocale, l'originale d - come nel radicale WED - diviene dh (sc. il suono del th inglese come in these clothes, talvolta espresse dalla lettera speciale ð negli scritti di Tolkien; "gwedi" è con ogni possibilità un travisamento per *gweði nei manoscritti di Tolkien). Solamente nella forma passata con nasale infissa gwend, dove la nasale che s'intrude fa scudo all'originale d dalla precedente vocale, può essa sfuggire alla modifica d > dh. Una forma passata alternativa di tale verbo è invero data come gweðant, od in compitazione normalizzata gwedhant.
          Nel caso di verbi polisillabici che terminano in -dh, il corrispondente passato dovrebbe terminare in -nd in Sindarin più antico o "medio", ma in conformità con il sistema di regolarizzazione adottato nei miei articoli, -nd alla fine dei vocaboli polisillabici apparirebbe come -nn (vedere l'articolo La Questione di ND od N(N) qui). Perciò le nostre Coniugazioni Suggerite presentano *nelenn (per il più antico *nelend) come il passato di neledh- "andare in". Per quanto se ne conosce, *neledhant può anche essere una forma passata possibile in tardo Sindarin.
          La forma passata gwend sembra essere il solo buon esempio che si ha della forma passata d'un verbo derivato da un radicale che originariamente termina in un'occlusiva sorda, che è quindi preservata seguendo la nasale infissa. Il verbo Noldorin lhefi "leccare" può essere aggiornato in Sindarin come *levi, assumendo che le forme genitive in -i rimanessero concettualmente valid e(osservare che la lettera f è intesa rappresentare la [v] anche nella compitazione di Tolkien della forma Noldorin). Il radicale originale è LAB, così lhefi/*levi proverrebbe dal più antico *labie. Se tale verbo lab- formava il suo passato per mezzo di infissione nasale, la forma risultante sarebbe *lambe, primevo Sindarin *lamb (Noldorin *lhamb). Tuttavia, il gruppo finale -mb agli inizi divenne -mm, -m, così in Sindarin classico il passato di *lav- "leccare" può essere *lam. Le nostre Coniugazioni Suggerite elencano tale forma, ma non è certa. (In Quenya il corrispondente passato non è formato per mezzo di infissione nasale; l'affatto differente formazione láve "lambito" appare con un prefisso in Namárië. Se láve riflette l'Eldarin Comune *lâbê, ed anche il corrispondente passato Sindarin discendeva da tale forma, "lambito" si tradurrebbe in Grigio-elfico come *law!) Eccetto che per il solo verbo *lav- "leccare" dal radicale LAB, pare non vi sia alcun tema consonantico attestato che termina in -v derivato dall'originale -b (e pure *lav- stesso è "attestato" soltanto come una forma esaurientemente aggiornata del verbo Noldorin di Tolkien lhefi, sebbene come notato in alto, la lettera f qui è sicuramente tesa ad esprimere il suono [v]). Comunque, se i verbi Quenya tyav- "gustare" e lav- "consentire" hanno affini Noldorin/Sindarin *cav-, *dav-, le forme passate di tali verbi potrebbero plausibilmente essere *cam, *dam (arcaiche *camb, *damb), tali forme rappresentando versioni con nasali infisse dei radicali originali KYAB, DAB.
          Temi consonantici che terminano in -v derivati dall'originale -m (invece dell'originale -b) dovrebbero parimenti avere passati in -m, sebbene nel loro caso non vi sarebbero forme arcaiche in -mb. Nessuna radice consonantica in -v dall'originale -m è attestata, sebbene non vi sia ragione di presumere che non potrebbero esistere nel linguaggio. Il loro verosimile comportamento è indirettamente attestato nel caso di dravo "sbozzare" dal radicale DARÁM; tale verbo ha il passato dram[-]. (Esso è attestato solamente con un suffisso pronominale: drammen *"io sbozzai"; senza il suffisso -n "io" sarebbe *dram, dacché la doppia -mm è semplificata in -m alla fine.) Dravo in sé non è un tema consonantico (osservare l'infinito in -o piuttosto che in -i), ma come dovrò argomentare in basso, tale verbo appartiene ad una classe di verbi che sembrano comportarsi come radici consonantiche al passato.
          Le forme passate di temi consonantici in -r ed -l sono attestate solo indirettamente. Ci si aspetterebbe che le radici in -r abbiano forme passate in -rn, e.g. *tirn come il passato di tir- "osservare, guardare"; *tirn è l'ovvio affine del passato Quenya tirne (vedere alla voce TIR in Etim; è il tema tir- + la desinenza passata -ne, in Noldorin/Sindarin indebolita in -n). Il passato *tirn soggiace al participio passato attestato [t]irnen "osservata, vigilata", lenito dirnen in Talath Dirnen "Piana Vigilata" (così nell'edizione pubblicata del Silmarillion; variante Dalath Dirnen in Etim, voce TIR).

NOTA: riguardo al verbo "guardare", la voce TIR- nelle Etimologie recita, in parte: "N tiri o tirio, pa. tiriant." Qui, tiri sembrerebbe la forma infinita di una radice consonantica tir-, laddove tirio è l'infinito di una radice in A- *tiria-. È mia opinione che tiriant sia inteso soltanto come il passato di tirio,laddove il passato di tiri è semplicemente non dichiarato. Potrebbe quindi essere *tirn, come teorizzato sopra. Carl F. Hostetter argomenta che tiriant sia inteso come il passato sia di tir- che del sinonimo con radice in A- tiri[a]-, ma è sicuro che se tiriant abbia ad essere il passato d'un verbo primario come tir-, un tal preterito non potrebbe essere forma storicamente giustificata.


          Per il passato di radici consonantiche in -l si deve parimenti ricadere su di un participio passato: la forma hollen che forma parte del nome Fen Hollen menzionato in SdA. Esso ricorre nel capitolo L'Assedio di Gondor nel Libro V: "[Denethor, Pipino e i servi che trasportavano Faramir ferito, N.d.T.] giunsero infine ad una porta... La chiamavano Fen Hollen perché rimaneva sempre chiusa, eccetto in occasione dei funerali..." Il nome quindi sembra indicare "Porta Chiusa", tale traduzione occorrendo poi nel capitolo (quanto all'elemento fen "porta", comparare fennas "soglia" nell'iscrizione sul Cancello di Moria). Hollen "chiuso" sembrerebbe la forma lenita di [s]ollen, e rimuovendo la desinenza participia -en punta a *soll come il passato di un verbo *sol- "chiudere". La forma *soll ha senso anche entro l'intelaiatura diacronica, poiché una primeva forma passata *solne (con l'antico marcatore di tempo passato -ne) risulterebbe invero in tal modo: quanto al gruppo *ln che diviene ll, comparare un vocabolo come ndulna "segreto" che dà il Noldorin doll "oscuro" (Etim, voce NDUL).
          Per il passato delle radici consonantiche in -n non vi sono esempi, diretti od indiretti. Comunque, si assume generalmente che il passato (diciamo) del Quenya cen- "vedere" sarebbe *cenne, dacché aggiungendo la desinenza passata -ne ad un tema come cen- non risulterebbe alcun gruppo impossibile. La forma Sindarin corrispondente al Quenya *cenne sarebbe *cenn. Così fino a che non vi sono altre evidenze, può assumersi che temi consonantici in -n abbiano forme passate in -nn, l'ultima -n essendo un residuo della desinenza passata -ne. (Incidentalmente, il verbo cen- sembra comparire in Sindarin così come in Quenya; il gerundio cened è attestato in un composto in RS:466.)
          Talune radici consonantiche son viste aver acquisito forme passate analogiche, costruite semplicemente aggiungendo -ant al radicale. Lo storicamente corretto passato di gwed[h]i "legare" sarebbe gwend, la qual forma è data in Etim (WED), ma ivi è anche detto che gwend fu più tardi rimpiazzato da gwedhant. Un altro esempio è il verbo sog- "bere"; la sua forma passata era originariamente sunc, ma era anche usata la forma []sogant (SUK).

NOTA: alla voce SUK come stampata in LR, le forme passate di sog- sono citate come "sunc, asogant". La forma "asogant" tuttavia viola la fonologia Noldorin/Sindarin: tra due vocali, la s dovrebbe divenire h. D'altronde, il prefisso a- sembra affatto superfluo, non ha paralleli da nessuna parte e può a malapena darsene conto in termini storici. Verosimilmente, Tolkien intendeva effettivamente citare le forme passate come "sunc, and sogant", alternativamente "sunc, or sogant". Tuttavia, la congiunzione "and" oppure "or" può essere solo un piccologhirigoro nel suo manoscritto, ed il trascrittore pare averla letta come "a", percependo tale vocale come parte del vocabolo seguente così che sorse la lezione "asogant". Qui tratto la forma sogant come attestata, ma sarà citata come []sogant, come sopra.

In aggiunta alle radici in A- ed ai temi consonantici, sembra possa esservi un piccolo sottogruppo di verbi che condividono alcune caratteristiche d'entrambi. Tale gruppo consiste delle più semplici radici in A-, dove la corta desinenza -a (non una desinenza più lunga come -da/-tha/-na oppure -ia) era stata aggiunta al radicale originale. In più, deve esservi soltanto una singola consonante prima di tale desinenza, così un verbo come erch[a]- "pungere" non vi sarebbe incluso (inf. ercho alla voce EREK-; tale intestazione della voce suggerisce che tale verbo sia da derivarsi da *er'kâ-).
          Un esempio della specie di verbi che si sta discutendo sarebbe dravo "sbozzare", derivato dal radicale DARÁM: primitivo *d'ramâ-. il presente d'un tal verbo può a stento essere aaltro che *drava, ma che dire del passato? In conformità con le regole sin qui formulate, sarebbe **dravant, ma nella rilevante voce in Etim, Tolkien indicò che la forma effettiva è dram[] (attestata con la desinenza -n "io" annessa; drammen sembra significare *"sbozzai"). La forma dram[], dramm- discenderebbe da *d'ramne-, con l'antica desinenza passata -ne annessa direttamente al radicale; la corta desinenza -a non appare al passato. Un altro esempio: alla voce NAR2, Tolkien menziona un verbo che all'infinito appare come naro "narrare", evidentemente l'infinito di una semplice radice in A- *nara-. Ma il passato non è evidentemente **narant; Tolkien citò il passatp Antico Noldorin narne, mancando la vocale mediale delal forma infinita naróbe (donde naro). Tolkien non menzionò la forma tardo Noldorin/Sindarin di narne, ma essa risulterebbe come *narn, come se fosse il passato di un tema consonantico **nar- (con infinito **neri invece dell'effettiva forma naro). Comparare il nostro argomento in alto, per cui si hanno prove indirette che suggeriscono che il passato del verbo primario tir- è *tirn.
          Tali verbi, sebbene propriamente radici in A-, sembrano formare i loro passati come se fossero radici consonantiche: la desinenza breve -a è semplicemente dismessa al passato. Tali radici in A- più semplici sembra possano costituire quella che chiamo una coniugazione mista nel mio articolo sul Sindarin, dacché sono trattate come temi consonantici al tempo passato (privo di desinenza), ma per altri versi (presumibilmente) si comportano come altre radici in A-. Quando sono da aggiungersi desinenze alla forma passata, i verbi che appartengono alla coniugazione mista sembrano preferire la medesima connettiva vocale di altre radici in A- (vale a dire -e- invece di -i-); vedere in basso.
          Alla Coniugazione Mista possono anche essere assegnati pochi verbi che sono derivati da sostantivi od aggettivi per mezzo dell'antica desinenza derivazionale -, la quale (nella forma infinita Noldorin) era evoluta in -do. Per esempio, il verbo tangado "render saldo" (TAK) sembra essere in origine una formazione causativa che incorpora l'originale affine del Quenya tanka "solido" (l'affine Quenya di tale verbo Noldorin sarebbe *tankata-). Altri verbi di tal fatta sono gannado "suonare un'arpa" e lhathrado (Sindarin *lathrado) "spiare, origliare" (ÑGAN, LAS2). Si assume che le forme citate siano gli infiniti di radici in A- come tangad[a]-, gannad[a]- etc. Sebbene il -da finale (infinito -do) di tali verbi sia il discendente di una più lunga desinenza derivazionale -, tali verbi sono simili alle radici in A- più semplici (radicale + -â originale) inquantoché ambo le categorie di verbi terminano in una singola, corta vocale + una singola consonante + una -a finale (oppure all'infinito, -o). Pertanto si teorizza che tali verbi formerebbero anche i loro passati per decadimento della -a finale e trattando la rimanente parte del verbo come una radice consonantica. Quindi, il passato di verbi come tangado e gannado sarebbe verosimilmente *tangant, *gannant piuttosto che ?tangadant, ?gannadant. Nel caso dei verbi lhimmid "inumidire" e nimmid "sbiancare", Tolkien elencò esplicitamente i tempi passati nimmint, lhimmint (LINKWI, NIK-W-). Il solo mistero rimanente è perché tali verbi siano citati come temi in apparenza consonantici lhimmid, nimmid e non come infiniti *nimmido, *lhimmido (oppure come radici in A- *nimmida-, *lhimmida-). Non può esservi dubbio che tali due verbi dalla loro derivazione siano interamente simili ad una forma come tangado. Per esempio, nimmid "sbiancare" è derivato aggiungendo la desinenza causativa - all'antico aggettivo ninkwi "bianco" elencato di per sé alla voce NIK-W-; comparare anche l'affine Quenya ninqitá- (in compitazione tarda ninquitá-). Se la desinenza -o appartiene ad un verbo come tangado, è difficile comprendere perché non appartenga anche a questi due verbi. Nelle mie Coniugazioni Suggerite, si assume che le forme "nimmid" e "lhimmid" rappresentino semplicemente un'annotazione ellittica delle forme piene *nimmido, *lhimmido (più o meno come l'affine del Quenya linga- "pendere, penzolare" è citato come gling alla voce LING; questa deve essere ellittica per *glinga-). Quindi, elenco tali verbi come radici in A- *nimmida-, *limmida- (con l- per lh- a causa del normale aggiornamento alla fonologia Sindarin). Con ogni possibilità anche pannod "empire" (radice KWAT) appartiene a tale gruppo di verbi, ma può essere usato per propositi Neo-Sindarin il sinonimo pathro; quest'ultimo sembrerebbe essere l'infinito di una regolare radice in A-stem, ed è più facile predire le sue varie forme temporali. (Quanto a pannod "empire" stesso, alcuni lo connetterebbero anche ad infiniti in -od che ricorrono nelle versioni pre-Etim di Tolkien del Noldorin, come tangod "to fissare" in PE13:131. Se così può essere si abbia a che fare con una forma avanzata da una fase concettuale anteriore.)

NOTA: dalla sua forma, anche il verbo athrado "attraversare" (RAT) può sembrare appartenere alla medesima classe di nimmid- etc., ma athrado è evidentemente rado "farsi strada" col prefisso ath- "atraverso" (cfr. AT(AT)), così l'originale desinenza derivazionale - qui non è presente. Nondimeno, dacché rado può sembrare dalla sua forma appartenere alla Coniugazione Mista, il passato dovrebbe probabilmente seguire il medesimo modello: *athrant piuttosto che ?athradant.

Passati in -AU-: un altro piccolo sottogruppo di verbi sono le forme passate che coinvolgono il dittongo au, talvolta solo indirettamente attestate in quanto esso volge in un monottongo o in talune posizioni. Tra gli esempi espliciti si ha daul come la sorprendente forma passata di doltha "celare". Daul sembra essere una forma con A- infissa del radicale originale DUL, laddove doltha deve discendere da *dultâ-. Talvolta verbi in (original) - perdono tale desinenza al passato; comparare il Quenya onta- che ha il passato óne, coesistente con la forma più regolare ontane (Etim, voce ONO). Dovrebbe essere notato che Tolkien marcò la forma daul come arcaica o poetica, così nell'utilizzazione "moderna", il verbo doltha avrebbe forse il più regolare passato *dolthant.
          Il passato di thoro "cingere" è evidentemente *thaur, formato da infissione della A- del radicale originale THUR. La forma *thaur è soltanto indirettamente attestata: soggiace al participio passato thoren, cui Tolkien riferì come a tháurênâ. Nella forma participia thoren, il dittongo au diviene o a causa della sillaba aggiuntiva. (Alla voce DUL, il participio passato passivo corrispondente alla forma passata daul è parimenti dato come dolen, evidentemente < *daulênâ.)
          In altri casi, l'au Noldorin/Sindarin non ha origine per infissione della A- (come nel caso di daul, *thaur vs. i radicali originali DUL, THUR). Piuttosto esso discende dall'originale â lunga. Il linnod di Gilraen ha onen per "diedi" ["ho dato" nell'edizione pubblicata, N.d.T.]. La forma soggiacente priva di desinenza "dato" è probabilmente *aun, la quale è semplicemente l'affine del passato Quenya áne (attestato nel materiale primevo di Tolkien: QL:31). Comparare, diciamo, naur "avvampare" come l'affine Noldorin/Sindarin del Quenya náre (Etim, voce NAR1). Quando sono aggiunte desinenze, *aun diviene on-, come in onen "diedi". Comparare daul vs. dolen. (Invero quest'ultimo termine dalla sua forma potrebbe evidentemente essere la 1a persona passata "nascosi" tanto quanto il participio passato "nascosto", ed onen potrebbe verosimilmente essere il participio passato "dato" tanto quanto la 1a persona passata "diedi".) - In alcune edizioni di SdA, il primo vocabolo del linnod di Gilraen ha una vocale lunga: ónen. Tale ó manterrebbe la lunghezza prosodica del dittongo soggiacente au. Comunque; il dittongo au non produce sempre la ó lunga quando volge in un monottongo; cfr. un vocabolo come caun vs. la sua forma plurale conath (PM:362). Pertanto, la forma onen con una o corta non è necessariamente erronea.
          Il verbo anno "dare" occorre in Noldorin (ANA1), ed ora è anche attestato in Sindarin vero e proprio; l'imperativo anno occorre nella Preghiera del Signore Sindarin di Tolkien (VT44:21). La forma passata *aun sembra irregolare; normalmente ci si aspetterebbe che anno abbia il passato **annant. Tuttavia, tale forma diviene piuttosto maldestra quando sono aggiunte ulteriori desinenze ("io diedi" sarebbe **annannen! - o contratta **annen). Pertanto, non è sorprendente che Tolkien fu invece per la meno comune formazione passata *aun (< *ânê). Si può notare che anno "dare" è l'affine del Quenya anta, così questo è un altro caso di un verbo in -ta che dismette tale desinenza al passato, la forma pa.t. essendo costruita invece direttamente dalla radice. Comparare un esempio Quenya già menzionato: onta- con passato óne, formato dal radicale ONO. Il Quenya anta- "dare" [= Sindarin inf. anno] con passato tense áne [= S. *aun] avrebbe esattamente la medesima relazione con la radice ANA1, sebbene in tala caso né il passato Quenya né il Noldorin siano elencati in Etim.
          Infine si può considerare il verbo trenar- (inf. treneri "dire"), il passato del qualer è dato come trenor (NAR2). Sembra verosimile che tale forma rappresenti il più antico *trenaur, e che il dittongo *au discenda da un'originale â lunga (cfr. *aun vs. Quenya áne). Alla fine di un vocabolo polisillabico, au è affatto regolarmente ridotto ad o. Da ultimo, il passato (*trenaur >) trenor è verosimilmente inteso discendere da *trenârê. Tale formazione passata può essere comparata ad una forma Quenya che occorre nel Lamento di Galadriel: unduláve "sotto-lambito" (i.e. "coperto") come il passato di undulav-: la forma primitiva sarebbe *undulâbê. Osservare l'allungamento della vocale radicale delle radici originali LAB "lambire" e NAR2 "dire, riferire"; tali allungamenti sembrano essere caratteristici di tale classe di formazioni passate.
          In aggiunta a trenor come passato di trenar-, la voce NAR2 in Etim menziona anche una forma stampata come "trener". Non riesco a capire il senso di tale forma. La a originale potrebbe divenire e per metafonia, ma qui non v'è nulla che causi metafonia. Con ogni possibilità questo "trener" è un travisamento per *trenar nel manoscritto di Tolkien. (Come si dovrà menzionare anche più tardi, le vocali e ed a sono talvolta difficili da distinguere nella calligrafia di Tolkien. Comparare la voce KHAL2, dove il trascrittore interlocutoriamente legge un vocabolo Noldorin come "orchel" ma ammette che lae è incerta. La forma Antico Noldorin orkhalla indica che essa dovrebbe leggersi orchal, e tale forma posteriormente compare altrove: WJ:305, nota 48.) Il più antico *trenârê potrebbe forse produrre sia trenor che *trenar così come la vetusta forma katwârâ fornisce sia cadwor che cadwar (KAT). Tuttavia, ci si attenderebbe che *trenar normalmente sia il presente od aoristo (di 3a singolare) del tema consonantico trenar-, non il passato. Raccomanderei il passato trenor agli scrittori, e lascerei la problematica forma "trener" riposare in pace.

NOTA: un esempio dalle Etimologie è stato ignorato nella nostra discussione delle formazioni passate: il verbo mudo "lavorare, sgobbare", che alla voce è detto avere il "pa." mudas. Tale forma sembra totalmente anomala. Da nessuna parte nell'intero corpus linguistico Tolkieniano pubblicato vi è alcuna formazione passata che pure rassomigli a questa, né alcun accenno su come una tal forma passata potrebbe con ogni possibilità essere storicamente giustificata. D'altra parte, la desinenza -as talvolta forma sostantivi astratti; per esempio, il verbo gonathra- "irretire, aggrovigliare" corrisponde al sostantivo gonathras "groviglio" (Etim, voce NAT). Se il verb mudo "sgobbare, sfacchinare" è all'origine di una forma mudas, ci si dovrebbe pertanto attendere che quest'ultima significhi "faticata, sfacchinata" come sostantivo. Sembra affatto possibile che Tolkien distrattamente scrisse "pa.t." intendendo "sostantivo". Alternativamente, quel che Christopher Tolkien trascrisse come "pa.t." può ben esser una lezione altamente intrlocutoria di un illeggibile scarabocchio nel manoscritto originale; egli descrive le radici in M- del manoscritto di suo padre come "vaghe e difficili da interpretare, ed alcune sono assai confuse" (LR:370). L'effettivo passato mudo dovrebbe probabilmente essere *mudant (o concepibilmente *munt se il verbo s'insinuò nelle "coniugazioni miste" per analogia, ma una tale forma potrebbe a stento essere storicamente giustificata).

Il Futuro

Il futuro non è attestato nel Noldorin in stile Etim, e tutti i reperti rilevanti vengono dal Sindarin vero e proprio. Vi sono soltanto due o tre attestazioni del futuro, ma l'evidenza indicherebbe che esso sia formato con la desinenza -tha. La sola attestazione di tale desinenza senza ulteriori aggiunte viene dalla Lettera Reale: anglennatha "arriverà". Questo si assume normalmente come un tema in A- anglenna- "arrivare" + la desinenza futura -tha. Il verbo linnathon "intonerò" (RGEO:72, ricorre intradotto in A Elbereth Gilthoniel in SdA) è pressoché certamente una radice in A- *linn[a]- "cantare, salmodiare" (comparare linnon *"io canto" nel Canto di Lúthien, I Lais del Beleriand p. 354). se si lascia cadere la desinenza pronominale -n, la forma linnathon dovrebbe apparire come *linnatha; vedere in basso riguardo allo spostamento da -a a -o- prima della desinenza pronominale -n "io".
          La forma estathar ricorre nella Lettera Reale nella frase i sennui Panthael estathar aen, tradotta "che dovrebbe esser chiamato Fullwise" (SD:126). È mia opinione che in isolamento, la forma estathar significherebbe *"chiameranno", e che il significato letterale dell'intera frase sia qualcosa come *"che essi preferibilmente chiamerebbero Fullwise" (sennui potrebbe essere un avverbio *"realmente, preferibilmente" ed aen una particella di modo indicante che si ha a che fare con una situazione ipotetica piuttosto che un oggettivo evento futuro: "chiamerebbero" piuttosto che "chiameranno"). Comunque, l'esatta interpretazione di questa frase è sempre stata controversa (vedere la prossima sezione, nella discussione della desinenza plurale -r). La maggior parte delle persone concorderebbe comunque sul fatto che estathar punti ad *estatha come più semplice futuro di un verbo esta- "nominare, chiamare" (attestato in Quenya; vedere alla voce ES in Etim).
          È un peccato che tutte le forme attestate del futuro sembrino essere derivate da radici in A-. Non è chiaro come la desinenza -tha sarebbe annessa a temi consonantici (se essi invero ricevano la medesima desinenza). In taluni casi essa potrebbe essere annessa ad una radice senza creare gruppi impossibili, e.g. ?cartha come il futuro di car- "fare, creare". Tuttavia, dacché il th della desinenza -tha più verosimilmente rappresenta un gruppo più antico (*tt o *ts?), gruppi impossibili dovrebbero invero essere esistiti ad uno stadio iniziale se una desinenza che inizi in una tal combinazione sia stata annessa direttamente a temi consonantici. In tutta verosimiglianza, qualche vocale connettiva è regolarmente inserita tra la radice consonantica e la desinenza -tha. Come sarà mostrato in basso, al presente (o aoristo) la vocale -i- è annessa a radici consonantiche prima che siano suffisse desinenze pronominali. Un'ipotesi realistica potrebbe pertanto essere quella che la stessa vocale connettiva sia inserita anche prima della desinenza futura -tha. Ove possibile, la vocale -i- causerebbe umlaut sulla vocale radicale del verbo, così come fa -i come desinenza infinita (vedere sopra). Certo, -i come desinenza infinita è per la sua origine affatto distinta da tale vocale connettiva, ma se la forma futura di tale classe di verbi è formata come si è teorizzato, la regola grammaticale potrebbe per scopi pedagogici purposes essere stabilita così: i verbi futuri con infiniti in -i sono formati aggiungendo -tha all'infinito (prescindendo dal fatto che concettualmente gli infiniti Noldorin in -i siano realmente validi in Sindarin). Per esempio, il futuro di dar- "arrestare, fermare" (infinito deri) sarebbe *deritha. Osservare come la vocale radicale di dar- riceverebbe umlaut.
          Le forme date nelle mie Coniugazioni Suggerite sono basate su tale assunto, ma non si può esserne sicuri. Un altro plausiblie suggerimento è che la desinenza futura apparirebbe nella più lunga forma -atha quando annessa a temi consonantici; se così il futuro di dar- sarebbe piuttosto *daratha (senza umlaut della vocale radicale). Ivan Derzhanski apparentemente assume che il futuro di tir- "guardare" sia *tiratha (lenito e suffisso dirathar nel titolo di un articolo che pubblicò in VT38: Peth i dirathar aen, apparentemente inteso come "Una parola che dovrebbe essere osservata". Egli imita la sintassi del controverso i sennui Panthael estathar aen - frase dalla Lettera Reale, un'operazione rischiosa dacché si può essere affatto sicuri su cosa significano la maggior parte dei vocaboli individuali, ma la soggiacente forma futura *tiratha può non essere egualmente controversa.)  

Verbi Finiti con Desinenze Annesse

I verbi finiti possono ricevere desinenze per pronomi o numero. Effettueremo la disamina delle desinenze note; sfortunatamente esse non assommano affatto ad una tabella completa dei pronomi, e non si può essere sicuri che tutte appartengano realmente al medesimo stadio concettuale.  
          La desinenza -n per la 1a persona sg: in Sindarin come in Quenya, -n è la desinenza pronominale "io". Questa è la meglio attestata di tutte le desinenze pronominali. In Sindarin vero e proprio è attestata nei vocaboli nallon "io grido" (Invocazione di Sam), linnon *"io canto" (Canto di Lúthien), linnathon "io scandirò" (A Elbereth Gilthoniel), onen "ho dato" ed ú-chebin "non ho tenuto" (Linnod di Gilraen). V'è anche avon "Non farò" (WJ:371). Nel Noldorin delle Etimologie, la medesima desinenza -n può essere osservata in gerin "tengo, ho" (3AR); probabilmente ricorre anche nelle forme non tradotte drammen *"sbozzai" (DARÁM), hennin *"scagliai" (KHAT) e sogennen *"bevvi" (SUK; come si argomenterà in basso, quest'ultima forma dovrebbe probabilmente leggersi *sogannen). L'antenato Antico Noldorin di tale desinenza pronominale, vale a dire -ne, ricorre nella forma yurine "corro" (YUR). Questo -ne giungerebbe presumibilmente da *-ni ad uno stadio pure più antico; comparare il tema NI2 "io" elencato anche in Etim.  
          La desinenza -m per la 1a persona pl: la desinenza -m è vista significare "noi". Negli esempi attestati, questo è un "noi" esclusivo, che non include la(e) persona(e) cui ci si rivolge. IL Quenya fa una distinzione tra "noi" inclusivo ed esclusivo, ed al tempo cui datano i nostri esempi Sindarin, la rilevante desinenza Quenya era -mmë (sebbene Tolkien più tardi la mutò in -lmë). Sembra altamente verosimile che -m degli esempi Sindarin sia inteso come il diretto affine della desinenza esclusiva Quenya -mmë: avam "non faremo" (WJ:371), gohenam "perdoneremo" (VT44:21). Certo, è anche possibile che la distinzione tra "noi" inclusivo e esclusivo non fosse osservata o mantenuta in Sindarin. Si può notare, tuttavia, che una tale distinzione esisteva nel Noldorin pre-Etim: ad uno stadio, *"sbandiamo" era dengim se "noi" è esclusivo, ma [deng]int se "noi" è inclusivo (PE13:130). La forma dengim, almeno, può ben essere concettualmente valida anche in Sindarin.  
          La desinenza -ch per la 2a persona sg: In un messaggio Elfling del 22 gennaio 2002, Carl F. Hostetter scrisse: "Si possono trovare carte che mostrano -ch come 2a sg." (vedere
http://groups.yahoo.com/group/elfling/message/9163/). Come egli aggiunse immediatamente, la desinenza -ch non ebbe sempre quest'accezione (essa apparentemente denotava il "noi" di 1a pl. inclusivo in una fase concettuale precedente, rimpiazzando la pur più antica desinenza -nt che Tolkien usò nella forma [deng]int menzionata sopra). Comunque, la desinenza -ch è al momento meglio nota agli scrittori come la desinenza per il sg. "tu" (così usata nel Sindarin Cinematografico), ed è qui così trattata.  
          La desinenza plurale -r (che con ogni possibiltà ricopre anche il pronome "essi"): sembra che così come in Quenya, i verbi Sindarin aventi soggetti plurali normalmente ricevano la desinenza -r. È attestata nelle varie forme del nome "Terra dei Morti Viventi": Dor Firn i guinar (Etim, voci KUY, PHIR), Gwerth-i-guinar (WJ:71), Dor Gyrth i chuinar (Lettere:417). Prescindendo dal fatto che delle varie mutazioni della consonante iniziale del verbo, questi nomi varianti puntano tutti ad [c]uinar come forma plurale presente di cuino "essere vivo" (Etim, voce KUY). Più recentemente, anche la desinenza -r comparve nella versione Sindarin di Tolkien della Preghiera del Signore, alla riga di ai gerir úgerth = letteralmente *"coloro che fanno [i.e. commettono] peccati" (VT44:30). Qui, gerir è chiaramente la forma lenita di cerir, tale forma immutata essendo attestata in una lezione variante (VT44:22). È una forma del verbo car- "fare, creare"; l'imperativo caro ricorre nel medesimo testo.
          È possibile che la desinenza -r non sia meramente un marcatore plurale ma possa anche funzionare come il pronome "essi", così che [c]uinar possa indicare *"essi vivono" e cerir ricoprirebbe *"essi fanno". Una frase dalla Lettera Reale può confermare ciò. Mentre [c]uinar e cerir sono esempi del presente (o aoristo), la desinenza -r è annessa a quella che sembra una forma futura nella frase Perhael i sennui Panthael estathar aen nella Lettera Reale (tradotta "Halfwise che dovrebbe esser chiamato Fullwise", SD:126). A causa di questa traduzione, taluni hanno speculato sul fatto che -r sia qui qualche sorta di desinenza passiva, così che estathar significhi *"sarà chiamato" (vedere, per esempio, "Bold Hypothesis 1" di Ivan Derzhanski in VT38:10). Vi è qualche evidenza per -r come una desinenza medio-passiva in una variante del Quenya (o piuttosto Qenya). Tendo, comunque, a credere che -r sia qui la stessa desinenza plurale che è anche attestata altrove, così che estathar significhi piuttosto *"essi chiameranno". Il seguente aen può essere una particella di modo indicante che il verbo precedente descrive una situazione irreale o desiderata, così che la frase estathar aen non sia un semplice indicativo [che in realtà in Italiano diviene un futuro, N.d.T.] "essi chiameranno", ma piuttosto "essi chiamerebbero". Sennui è forse un aggettivo (cfr. la desinenza -ui) usata come un avverbio; il suo significato qui potrebbe essere qualcosa come "preferibilmente". L'intera frase significherebbe, letteralmente: *"Halfwise ch'essi [= persone in generale] preferibilmente chiamerebbero Fullwise". Tale interpretazione confermerebbe che -r può implicare "essi". (La versione di Tolkien "Halfwise che dovrebbe esser chiamato Fullwise" è perciò vista come una traduzione non letterale, idiomatica.)

NOTA: In una forma sperimentale del nome della "Terra dei Morti Viventi", Gwerth-i-Cuina, la desinenza -r è assente dal verbo ancorché "i Morti" sia plurale (WJ:132). È, tuttavia, presente in altre varianti di tale nome. Si può anche considerare una frase pubblicata in Tolkien: Artist & Illustrator che appare appartenere virtualmente allo stesso tempo e dialetto del Noldorin in stile Etim: Lheben teil brann i annon ar neledh neledhi gar godrebh, evidentemente = "cinque piedi alta [è] la porta e tre possono attraversarla assieme". Qui il verbo gar appare come il vobabolo che indica "possono". Se si assume un verbo *gar- "essere in grado" (in Etim, un verbo della medesima forma significa "detenere, avere"), ci si può aspettare la forma *gerir o con ogni possibilità *garar qui, con la desinenza plurale annessa ad accompagnarsi al soggetto plurale neledh "tre". Oppure è un gruppo di tre, indicato dal semplice cardinale neledh "3", in qualche modo percepito come una unità? Se gar è un verbo singolare, si dovrebbe forse leggere *gâr con una lunga vocale (ad accompagnarsi con forme tali come tôl, [p]êd etc.)

Le quattro desinenze -n "io", -m "noi", -ch "tu" ed -r ?"essi" possono presumibilmente essere annesse ad ogni verbo finito. Comunque, la questione rimane su quale sia la vocale da cui dovrebbero essere preceduti.
          Come dimostrato sopra, i verbi con radici in A- terminano in -a al tempo presente (o aoristo), e così fanno i verbi al futuro in -tha. Tuttavia, gli esempi attestati linnon *"io canto", nallon "io grido" e linnathon "io canterò" indicano che una -a immediatamente precedente la desinenza -n cambia in -o- quando tale desinenza pronominale è annessa: non si vede **linnan, **linnathan. Comunque, nessuna di tali modifiche ha corso prima della desinenza -m, com'è evidente dall'esempio avam "noi non [faremo qualcosa, N.d.T.]" in WJ:371 (la qual fonte menziona anche avon "io non [farò qualcosa, N.d.T.]" con l'attesa modifica da -a in -o- prima della -n).
          Un tentativo di spiegare perché -a diviene -o- prima della desinenza -n "io", ma non prima di -m "noi", è quasi così: la vocale finale delle radici in A- era originariamente una lunga -â. Prima di desinenze che includono solamente una singola consonante, tali come -n, questa vocale poté rimanere lunga ed evolvette regolarmente nella o Sindarin (via au e ó lunga). Tuttavia, prima di desinenze che includono un gruppo consonantico, l'originale lunga -â fu abbreviata in -a- che semplicemente rimane -a- in Sindarin. La desinenza -m più verosimilmente rappresenta un più antico gruppo -mm- (o avrebbe dovuto volgere in v seguendo una vocale), così prima di tale desinenza originale -â fu abbreviata in -a- e rimase -a- in Sindarin. Perciò avon "io non [farò qualcosa, N.d.T.]", ma avam "noi non [faremo qualcosa, N.d.T.]". Dacché la desinenza -ch "tu" (sg.) deve discendere da un gruppo primevo (verosimilmente -kk-), ci dovremmo aspettare di vedere -a- anche prima di tale desinenza: *avach "tu non [farai qualcosa, N.d.T.]". (Anche una desinenza alternativa per "tu", -g, è riportato ricorra nei manoscritti di Tolkien. Se questa fosse discendente da una singola -k-, si vedrebbe *avog con -o- come un vocabolo alternativo per "tu non [farai qualcosa, N.d.T.]".)
          Ciò spiega con successo alcune cose, ma rimane oscuro perché -a non divenga -o- anche prima della desinenza plurale -r, e.g. [c]uinar piuttosto che **cuinor come il presente pl. "vivono" (come in Dor Firn i guinar). Non v'è ragione di credere che tale -r sia semplificata da un gruppo primevo, come la desinenza -m "noi". Alcuni hanno suggerito che tale desinenza in qualche modo entrò nel linguaggio ad uno stadi posteriore e pertanto non influenzò il suo dattorno fonologico nel modo che ci si aspetterebbe. Mentre talune minori oscurità permangono, si deve concludere che un verbo come linna- "cantare" [più nel senso di "salmodiare, ritmare", N.d.T.] dovrebbe più verosimilmente andare così al presente/aoristo: linnon "io canto", *linnam "noi cantiamo", *linnach "tu canti" e *linnar "(essi) cantano". Al futuro, la vocale finale della desinenza -tha si compoirterebbe allo stesso modo della -a finale di un tema in A- al presente. Così a parte la forma attestata linnathon "canterò", ci si aspetterebbe di vedere *linnatham "canteremo", *linnathach "canterai", *linnathar "(essi) canteranno". Pure ignorando la questione d'una possibile distinzione tra "noi" inclusivo ed esclusivo, almeno una desinenza pronominale è assente: il plurale "voi". Un'ipotesi realistica potrebbe essere che questa sia *-l, dacché alcune varianti del Quenya sembrano usare -lle per tale acceziome. Se questa *-l discendesse da una doppia -ll- (cfr. la desinenza Quenya), si vedrebbe verosimilmente *linnal e *linnathal (piuttosto che *linnol e *linnathol) per "voi cantate", "voi canterete".

La forma presente o aoristo dei temi consonantici è vista includere la vocale -i- prima delle desinenze. (Quand'essa appare senza desinenze, come nella 3a persona singolare, questi sono i verbi che hanno la loro vocale radicale allungata, e.g. tôl "giunge".) Per esempio, da *heb- "tenere" si ha [h]ebin per "tengo" (attestato in forma negata ú-chebin "non ne tengo" nel linnod di Gilraen [tradotto "non he no conservata" nell'edizione pubblicata di ISdA, N.d.T.]; il prefisso ú- "non" causa lenizione della seguente consonante). Tale -i- causa umlaut alla vocale radicale nella(e) precedente(i) sillaba(e), proprio come la desinenza infinita -i discussa sopra, così che le vocali radicali a ed o divengono ambedue -e-. Pertanto, il verbo car- "fare, creare" appare come cerir (non **carir) nella Preghiera del Signore Sindarin, con -i- come una vocale connettiva prima della desinenza -r (VT44:22). Prima che il primitivo radicale KHEP "tenere" fosse pubblicato in VT41:6, non era invero chiaro se il verbo Sindarin "tenere" fosse heb-, **hab- od **hob-, dacché tutti questi diverrebbero hebi- prima di desinenze e soltamtp la forma 1a sg [h]ebin era attestata. Un verbo come car- "fare" ci si aspetterebbe andasse così con desinenze annesse: *cerin "io faccio", *cerich "tu fai", *cerim "noi facciamo", cerir "(essi) fanno". Tol- "giungere" andrebbe così: *telin "io giungo", *telich "tu giungi", *telim "noi giungiamo", *telir "(essi) giungono" (comparare teli come forma infinita con umlaut "giungere", elencata alla voce TUL in Etim).
          Il verbo garo è detto avere la forma di 1a persona presente gerin "ho, detengo" (Etim, voce 3AR; si interpreta "garo-" come un infinito in -o, a dispetto del trattino finale). Sopra, si vedeva la forma gerin come prova che tale verbo è propriamente una radice consonantica (cfr. gar- nella voce cancellata GAR), e che soltanto l'infinito garo invece della forma "regolare" **geri sia eccezionale. Il verbo sogo "bere", il quale è detto corrispondere alla 3a sing. (presente) sôg, può parimenti essere trattato come un tema consonantico eccetto che per la forma infinita. Con desinenze, sog- apparirebbe quindi come *segi-, e.g. *segin "bevo". Ma è anche possibile, e forse più probabile, che sogo "bere" rappresenti una corta radice in A- sog[a] delle "coniugazioni miste". Questa è la veduta assunta nelle nostre Coniugazioni Suggerite, così che "bevo" sarebbe *sogon. (Prima delle altre desinenze dovremmo vedere *soga-, e la forma di 3a sg. sôg sarebbe quindi irregolare, dacché se questa è invero una radice in A- ci si dovrebbe forse aspettare di vedere **soga pure se il verbo apparisse senza desinenza. O forse i verbi delle Coniugazioni Miste abbandonano regolarmente la finale -a nel singolare presente di 3a persona privo di desinenza, contrariamente al sistema al momento assunto nelle nostre Coniugazioni Suggerite che dismette sôg come irregolare?)

Le desinenze -n, -m, -ch, -r possono evidentemente anche essere annesse a forme passate dei verbi; vi sono almeno alcune attestazioni di -n "io". Il linnoddi Gilraen ha onen per "ho dato". Come argomentato sopra, la forma passata priva di desinenza "dato" è evidentemente *aun, che diviene on- nei polisillabi. La forma onen suggerisce che la vocale connettiva -e- è usata prima delle desinenze in almeno alcune forme passate. Altri esempi dalle Etimologie sembrano confermarlo. Alla voce DARÁM un passato dravo "sbozzare" è dato drammen, e mentre questo non è esplicitamente tradotto *"sbozzai", il pronome -n "io" sembra essere incluso. Come argomentato sopra, il passato privo di desinenza "sbozzato" sarebbe *dram o tecnicamente *dramm (la -mm finale è ridotta ad -m in ortografia), dal più antico *dramne con il medesimo marcatore del passato -ne che è anche comune in Quenya. La forma drammen *"sbozzai" evolve regolarmente da *dramnene (per la desinenza pronominale -ne "io", comparare l'Antico Noldorin yurine "io corro", voce YUR). Vi sono poche ragioni di dubitare che a parte drammen *"sbozzai" si potrebbe anche avere *drammem "noi sbozzammo", *drammech "tu sbozzasti", *drammer "(essi) sbozzarono".
          Ulteriore evidenza per -e- come una vocale connettiva è fornita dalla voce SUK nelle Etimologie. Dopo aver elencato la forma []sogant, passato di sogo "bere", Tolkien citò un vocabolo stampato come sogennen (presentato come una variante parentetica di []sogant, la quale a sua volta è esplicitamente identificata come una forma passata). Questo sogennen è verosimilmente il passato []sogant con la desinenza -n "io" annessa, ed una vocale connettiva -e- è vista apparire prima di tale desinenza. (Tra due vocali, -nt- volge regolarmente in -nn- per ragioni fonologiche.) Tuttavia, ci si aspetterebbe []sogant + -e-n a produrre *sogannen, non "sogennen" come stampato. In tutta verosimiglianza, "sogennen" è semplicemente un travisamento per *sogannen nel manoscritto di Tolkien; si sono già discussi altri casi di verosimile confusione di a con e nella calligrafia di Tolkien. In questo saggio, tale forma è di lì in poi citata come sog[a]nnen. Se si è correttamente interpretata tale forma come *"io bevevo", questo è un importante esempio, che dimonstra che le (apparentemente assai frequenti) forme passate in -ant appaiono come -anne- quando sono annesse desinenze. Con desinenze una forma di 3a persona sg. come orthant (pa. di ortho "sollevarsi", ORO) volgerebbe quindi in *orthannen "mi sollevai", *orthannech "ti sollevasti", *orthannem "ci sollevammo", *orthanner "(essi) si sollevarono".
          Comunque, le Etimologie forniscono un esempio divergente, dove appare un'altra vocale connettiva. Alla voce KHAT in Etim, Tolkien menzionò il verbo che all'infinito appare come hedi "scagliare". Sono elencate due forme passate: hant ed hennin (effettivamente nell'ordine opposto). Dacché la forma radicale del verbo può essere citata come *had- (la desinenza infinita -i causa umlaut, perciò la forma inf. hedi), la forma hant è semplicemente il passato privo di desinenza (3a persona sg.), formato per infissione nasale come spiegato sopra. Hennin sembrerebbe essere hant *"scagliato" con la desinenza -n annessa, perciò "ho scagliato". Ma nella forma hennin, la vocale connettiva -i- è usata prima della -n, ed hennin può quindi essere derivato da hant osservando le normali regole dell'umlaut a > e causato da una seguente i (come nell'infinito hedi ed il presente/aoristo *hedin) e rammentando che -nt- intervocalico diviene -nn-. La forma hennin è comunque tuttora sorprendente, poiché -i- come una vocale connettiva non sembra essere storicamente giustificata. Nella prospettiva diacronica, ci si aspetterebbe che-e- fosse la vocale connettiva più o meno universale al passato. Tale "vocale connettiva" è semplicemente la vocale in cui tutti i verbi al passato originariamente terminavano, perduta nelle forme prive di desinenza (ove essa era finale), ma preservata prima di desinenze. In Quenya, pare che tutte le forme di tempo passato terminino ancora nella vocale -e, anche in forme simili ai verbi Noldorin dinanzi a noi. Il verbo quetin "io dico" ha il passato quenten "io dissi" (ambedue sono attestati con un prefisso in WJ:370, 371). Fonologicamente, ci si aspetterebbe che tali forme corrispondano al Noldorin/Sindarin *pedin e *pennen, rispettivamente. La forma *pedin, sebbene non direttamente attestata, è invero quel che si vedrebbe in conformità con le regole ricostruite sopra. Tuttavia, la forma attestata hennin suggerisce che "io dissi" non sarebbe *pennen, ma piuttosto *pennin. Come può spiegarsi ciò?
          Per usare l'esempio attestato hennin *"scagliai", possono esservi pochi dubbi sul fatto che storicamente parlando, il passato dovrebbe essere stato **hannen (< Antico Noldorin *khante-ne). La forma storicamente ingiustificata hennin apparentemente sorse per analogia col presente (o aoristo), dove la vocale connettiva -i- è invero usata: in conformità con il sistema ricostruito sopra, il verbo had- "scagliare" dovrebbe avere la 1a persona presente *hedin. Osservare che i verbi che al passato preservano la vocale connettiva storicamente "corretta" -e- sono anche verbi che non mostrano -i- al presente. Le forme passate attestate drammen *"sbozzai" e onen "ho dato" dovrebbero (in conformità con la nostra ricostruzione) corrispondere alle forme presenti *dravon "io sbozzo" ed *annon "io dò". In queste forme di tempo presente non vi è la vocale connettiva -i-, e le forme passate son quindi viste ritenere la vocale connettiva storicamente giustificata -e-. Sembrerebbe che le radici in A- (includendovi le più semplici radici in A- delle "Coniugazioni Miste") usano la vocale connettiva -e- quando sono da aggiungersi desinenze alla forma passata, laddove i verbi primari usano la vocale connettiva -i-, introdotta per analogia con la vocale connettiva che i verbi primari utilizzano al tempo presente.
          Per lungo tempo, il vocabolo hennin dalla voce KHAT nelle Etimologie fu il solo esempio di una forma passata con -i- come sua vocale connettiva, ed io ero alquanto scettico circa il generalizzare una regola che influenzi moltissimi verbi basati soltanto su un singolo esempio (sebbene tale situazione sia lungi dall'esser unica nella linguistica Tolkieniana!) Ora si rivelava che il verbo *dag- (inf. degi "uccidere", NDAK), il cui passato privo di desinenza sarebbe *danc (Antico Noldorin ndanke dato), aveva la forma passata estesa dengin *"io uccisi" già in Noldorin pre-Etim (PE13:130). Anche alcune delle altre forme pre-Etim elencate sembrano compatibili col tardo Sindarin, come dengim *"uccidemmo" e [deng]ir *"(essi) uccisero". Queste erano le forme predette nelle nostre Coniugazioni Suggerite. Sebbene le coniugazioni verbali presentate in PE13 (inclusa la tabella che fornisce gli esempi appena citati) per lo più non sono compatibili col sistema posteriore di Tolkien, sembrerebbe che l'avere -i- come vocale connettiva al passato di alcuni verbi Noldorin/Sindarin fosse invero un'idea di vecchia data: la forma hennin non rappresenta un breve balenìo nella concezione evolvente di Tolkien.
          Concludiamo, allora, così: al passato, la più frequente vocale connettiva prima delle desinenze è -e-, ma i verbi che hanno -i- come loro vocale connettiva al presente (od aoristo) mostrano anche questa vocale al passato, evidentemente per analogia. Tale vocale -i- causa umlaut al passato così come al presente; perciò la vocale del verbo *had- "scagliare" volgerebbe in -e- al presente (*hedin "scaglio") così come al passato hennin *"scagliai"; comparare l'attestato infinito hedi. La vocale o diverrebbe parimenti e (per l'arcaica ö), così mentre il verbo "correre" sembra essere nor-, il passato "correvo" evidentemente si manifesterebbe come *nernin (< *nörnin).
          Quando si espande unaa forma passata con la vocale connettiva -e- od -i- prima di aggiungere una desinenza, la radice passata deve sovente essere alquanto modificata. Le forme sog[a]nnen ed hennin vs. le varianti prive di desinenza []sogant, hant dimostrano come -nt volga in -nn- quando tale gruppo diviene intervocalico. Anche l'-nd intervocalico dovrebbe volgere in -nn-, così l'antico passato gwend *"legato" (WED) dovrebbe con desinenze apparire come *gwenni-.
          Similmente, -nc diverrebbe -ng- (come nell'inglese song, senza g udibile). Sunc come il più antico passato di sogo "bere" dovrebbe presumibilmente apparire come *sunge- prima di desinenze (*sungen "io bevevo", *sungech "tu bevevi" etc.) Cfr. anche dengin *"io uccisi" vs. privo di desinenza *danc "ucciso", se ci si azzarda a portare forme pre-Etim nella discussione (PE13:130). Se non vi fosse alcun verbo che al passato terminasse in -ng (formati da originali radicali con nasale infissa in -G), dovrebbe essere notato che mentre l'-ng finale è pronunciato con una distinta [g], -ng- intervocalico dovrebbe di nuovo essere la semplice nasale, come nell'inglese song. In compitazione Tengwar, la distinzione sarebbe sorretta anche dalla scrittura.
          Forme passate che terminano in -m od -mp quando non è presente desinenza mostrerebbero la doppia -mm- prima di desinenze. Come argomentato sopra, la forma drammen *"sbozzai" dovrebbe verosimilmente essere *dram senza la desinenza -(e)n "I". Destando interesse, Tolkien alla voce DARÁM indicò che ivi esisteva anche una forma priva di desinenza dramp (marcata come poetica). Tale forma non può essere storicamente giustificata (il radicale avrebbe dovuto essere invece **DARÁP), ed essa evidentemente sorse per analogia: anche il gruppo -mp dovrebbe volgere in -mm- quando intervocalico, così la forma drammen come tale potrebbe benissimo essere formata da una variante priva di desinenza dramp. Un genuino passato in -mp è rhimp, pa. di rhib- "fluire come un [?torrente]" (rhimp rappresentando una forma con nasale infissa del radicale RIP). In conformità con il sistema qui ricostruito, questo dovrebbe prima di desinenze apparire come *rhimmi-, e.g. pl. *rhimmir. (In Sindarin, leggere r- per il Noldorin rh-.)
          Espandendo una forma passata priva di desinenza, si deve anche tenere in mente che il dittongo au che ricorre in alcune forme passate volge in o quando un vocabolo monosillabico diviene polisillabico. Come notato sopra, la forma onen "ho dato" è probabilmente formata da una variante priva di desinenza *aun "dato". (Allo stadio cui talvolta ci si riferisce come Medio Sindarin, "ho dato" sarebbe ancora *aunen.)  

L'Imperativo

Dai modelli nel campo, le forme imperative Sindarin sono assai ben attestate. In SdA stesso vi è tiro "guarda verso" nel grido "ispirato" di Sam a Cirith Ungol (tradotto nelle Lettere:278 e RGEO:72). L'iscrizione del Cancello di Moria recita, in parte: Pedo mellon a minno, " amico ed entra". L'invocazione di Gandalf dinanzi le porte contiene due imperativi: Annon edhellen, edro hi ammen! Fennas nogothrim, lasto beth lammen! "Cancello Elfico apri ora per noi; ingresso del popolo-dei-Nani ascolta le parole della mia lingua" (SdA1/II cap. 4, tradotte in RS:463). L'imperativo edro! "apri!" (che Gandalf pronuncia anche isolato) Tolkien lo aggiunse alle Etimologie, voce ETER. La forma lasto ricorre anche nel Canto di Lúthien in The Lays of Beleriand p. 354, per la quale non si ha la traduzione resa da Tolkien, ma evidentemente anche qui è l'imperativo "ascolta!". Nel viaggio in Lórien, l'Elfo arrestò la Compagnia con la parola daro!, e la voce DAR in Etim conferma che questo è l'imperativo di un verbo "fermare, arrestare". Però altri imperativi appaiono nel testo del SdA stesso nel Plauso di Cormallen: Cuio i Pheriain anann!... Daur a Berhael, Conin en Annûn, eglerio! ... Eglerio! Questo è tradotto nelle Lettere:308 e significa "possano i Mezzuomini vivere a lungo, gloria ai Mezzuomini... Frodo e Sam, principi dell'ovest, glorificate(li)! ... Glorificate(li)!" Sembrerebbe che cuio significhi semplicemente "vivano!", sebbene Tolkien qui lo rese "possano...vivere a lungo". Eglerio, che ricorre due volte, è il vocabolo reso con "glorificate!"
          Il grido di battaglia degli Edain del Nord, dato in UT:65, contiene due imperativi: Lacho calad! Drego morn! "Fiammeggia Luce! Fuggi Notte!" L'interiezione elo, identificata come "un'esclamazione di meraviglia, anmirazione, diletto" (WJ:362), è in origine un imperativo "mira! guarda!" (WJ:360). Vi è anche ego "và via!" (WJ:365) In VT44:21, nella traduzione di Tolkien della Preghiera del Signore, si hanno quelli che sembrerebbero essere gli imperativi dei verbi tol- "giungere", car- "fare", ann[a]- "dare" e díhen- "perdonare": tolo, caro, anno, díheno. (Si potrebbe anche includere no come l'imperativo del verbo "essere", se no aer i eneth lín è interpretato come "sia santificato il tuo nome" - ma dacché no è la sola possibile attestazioned'ogni forma del verbo "essere", nulla più può esserne detto.)
          Il materiale è perciò interamente coerente: tutte le forme imperative note son viste assumere la desinenza -o. Riferendosi alla forma tiro, Tolkien annotò che tale imperativo ricopre tutte le persone (Letters:427); perciò la forma è la medesima che il comando sia diretto ad una persona o a diverse persone. Ciò è confermato dal corpus stesso: un Elfo gridò daro! "fermi!" all'intera Compagnia com'essi entrarono in Lórien (vedere SdA1/II cap. 6), ma, diciamo, nella Preghiera del Signore, una forma come díheno "rimetti!" è diretta ad una persona soltanto (il Padre).
          Dovrebbe essere notato che la desinenza -o è annessa sia alle radici in A- che a temi consonantici. Il verbo che all'infinito appare come anno "dare" è l'affine del Quenya anta- e può pertanto essere citato anche come ann[a]-; la sua forma imperativa è vista come anno (VT44:21). L'infinitio e l'imperativo dei verbi con radici in A- perciò coincide nella forma (a meno che, naturalmente, Tolkien abbandonò gli infiniti in stile Etim in -o in Sindarin vero e proprio). D'altra parte, le radici consonantiche hanno forme distinte, dacché gli infiniti hanno la desinenza -i (causando umlaut se possibile) e gli imperativi la desinenza -o (non causando umlaut). Un esempio dalle Etimologie (voce DAR) è il tema consonantico dar- "arrestare", il quale ha la forma infinita deri e la forma imperativa daro! Cfr. anche teli "giungere" (TUL) vs. la sua forma imperativa tolo (VT44:21), e tiri "guardare" (TIR) vs. l'imperativo tiro (Lettere:427, RGEO:72). Ma come indicato, la validità concettuale degli infiniti in stile Etim in -o ed -i non è fuor di dubbio in Sindarin vero e proprio.
          Nel caso di drego "fuggi!" (UT:65) è impossibile dire se questo sia l'imperativo di un tema consonantico *dreg- oppure una più lunga (semplice) radice in A- *drega-.
          I commenti di Tolkien sulla forma ego! "và via!" gettano qualche luce sull'origine della desinenza imperativa -o. Tale desinenza rappresenta un'originariamente indipendente particella imperativa â, "sebbene ora seguisse sempre la radice verbale e fosse divenuta una flessione" (WJ:365). Tale derivazione indica che la desinenza imperativa era -au in antico Sindarin. Quindi divenne -ó lunga (menzionata anche in WJ:365) ed in finale -o corta. Il fatto che questa fosse originariamente una particella indipendente spiega anche perché not fu perduta in Sindarin, come lo furono tutte le vocali finali ad un certo stadio.  

Il Participio Presente (Attivo)

Per quanto posso vedere, non vi è attestazione del participio attivo di un verbo con radice in A- in Sindarin vero e proprio. Tali participi sono comunque attestati nella fase concettuale immediatamente precedente, il Noldorin delle Etimologie, ed in tutta verisimiglianza Tolkien trasportò le medesime formazioni in Sindarin.
          Alla voce GLAM-, si ha il verbo glavro "balbettare", evidentemente l'infinito di un tema in A- *glavra-. Poi il vocabolo glavrol è elencato, glossato "balbettante". La glossa inglese è sfortunatamente ambigua: questo "babbling" è un sostantivo verbale (i.e., "l'atto di balbettare") oppure "babbling" come un participio (aggettivale)? Un'altra coppia di vocaboli può gettare qualche luce su ciò: alla voce SWIN, è elencato un verbo chwinio "roteare, vorticare", evidentemente l'infinito di un tema in A- *chwinia-. La medesima voce elenca anche la forma chwiniol. Tolkien glossò "vorticante", ma fortunatamente egli fornì anche le glosse addizionali "vertiginoso, fantastico" a ricoprire per esteso il significato di tale vocabolo. Ciò dimostra che chwiniol è invero un termine aggettivale, non un sostantivo verbale, e quindi anche glavrol è probabilmente "balbettante" come un participio piuttosto che un sostantivo ["balbettìo", N.d.T.].
          Può anche essere notato che già nel primevo (pre-Etim) Noldorin di Tolkien, il verbo glathra- "polire" aveva il participio attivo glathrol, esplicitamente identificato come tale (PE13:126, 129). Ciò confermerebbe il modello intravisto nelle Etimologie.
          Anche forme come glavrol, chwiniol (in Sindarin, leggere *hwiniol) hanno ben senso entro lo scenario diacronico. In Quenya, la desinenza che forma participi attivi è -la, ben nota dal poema "L'ultima Arca" (Markirya). Dovrebbe discendere dalla primitiva *-. In Quenya, il verbo corrispondente al Noldorin chwini[a]- è hwinya-, "vorticare, turbinare, girare velocemente"; ambedue vengono dal primitivo *swinjâ-. In Quenya, ci si aspetterebbe che il participio di hwinya- fosse *hwinyala, per il primitivo *swinjâ-lâ. In Noldorin, tale forma evolve in chwiniol (Sindarin *hwiniol) in quanto la lunga -â- nella penultima sillaba volge in -o- (via Medio Sindarin -au-). Comparare l'antica 1a persona presente (o aoristo) *lindâ-n- che produce il Sindarin linnon *"io scandisco/canto". Si può concludere che in Sindarin, il attivo participio dei verbi con tema in A- è formato mutando la finale -a in -o ed aggiungendo -l, come in glavrol "balbettante" da glavr[a]- "balbettare".
         La forma della Lettera Reale edregol, tradotta "in special modo", somiglia ad un participio. Dacché il prefisso ed- può indicare "in avanti" oppure "fuori" (vedere alla voce ET in Etim), è possibile che edregol letteralmente significhi qualcosa come *"eccezionale(mente)" = speciale. Se così, un verbo con radice in A- *edrega- "risaltare, essere speciale" può essere inferito. È, comunque, troppo ipotetico per essere incluso nella lista delle nostre Suggerite Coniugazioni dei verbi Sindarin.
          I participi dei temi consonantici sono più poveramente attestati. In Noldorin pre-Etim, tali verbi possono anche ricevere la desinenza -ol, e.g. madol come il participio attivo di mad- "mangiare" (PE13:129, 131). Tali forme sono difficili da giustificare storicamente; forse Tolkien intendeva che -ol si era diffuso alle radici consonantiche per analogia con le più numerose radici in A-. Intrigantemente, la forma madel è elencata come il participio "AN" (Antico Noldorin) "che mangia" in PE13:131, Sebbene questo non sia il medesimo linguaggio "Antico Noldorin" delle Etimologie (che è di gran lunga più arcaico e molto più prossimo al Quenya). Dovremo qui argomentare che madel sia la forma più verosimile del participio "che mangia" pure nel tardo Sindarin di Tolkien.
          Nel SdA stesso, il participio di tir- "guardare, fissare" appare come [t]iriel (lenito -diriel nel composto palan-diriel, "che miri da lungi" nell'invocazione di Sam a Cirith Ungol, cfr. la traduzione interlineare in RGEO:72). [T]iriel come il participio del verbo tir- indica che in Sindarin, temi consonantici hanno regolarmente participi attivi in -iel?
          Forse no. Com'è assai sovente il caso nella linguistica Tolkieniana, la prospettiva diacronica è illuminante. Le radici consonantiche sono affezionate alla -i- come loro vocale connettiva, e ci si aspetterebbe che un verbo come, diciamo, cab- "balzare" da un tema KAP avesse il primitivo participio *kap-i-lâ "balzante". (Comparare una forma Quenya tale come itila "scintillante, sfavillante", PM:363.) Se si porta *kap-i-lâ a compimento dei normali scostamenti sonori, ci si aspetterebbe che la risultanza Noldorin/Sindarin fosse *cabel. (Comparare l'attestata forma gerundia del medesimo verbo: cabed da *kap-i-tâ.) Parimenti, *mat-i-lâ "che mangia" produrrebbe il Sindarin *madel, e come messo in evidenzasopra, la forma madel è effettivamente attestata come "AN" (Antico Noldorin) in PE13:131. In altre parole, ci si aspetterebbe che le radici consonantiche avessero participi attivi in -el. L'attestato participio [t]iriel "mirante" invero contiene -el, ma vi è un -i- prima di esso. Di tale vocale extra si può in qualche modo dar conto?
          Probabilmente. Un curioso tratto distintivo del Sindarin è che quando una desinenza è annessa ad una sillaba che include la vocale i, tale vocale in talune circostanze "echeggia" prima della desinenza. Per esempio, la desinenza derivazionale -as (attestata in molti vocaboli) è improvvisamente allungata in -ias nel termine ínias "annali", derivato da în "anno" (voce YEN in Etim). L'aumento della desinenza -on (RGEO:73) è parimenti ben attestato in tal forma, e.g. in annon "grande cancello" ed aearon "[grande] mare", ma quando è aggiunta a sîr "fiume", la forma risultante non è **Síron, ma Sírion (nome del gran fiume del Beleriand). La i "extra" che compare nel mezzo di questo nome non è la rimanenza di qualche originale desinenza che è per altri versi perduta: la forma più antica di sîr è citata come síre piuttosto che *siri in Etim, voce SIR (ove è menzionato anche il nome Sirion). Sembra che in certe condizioni ambientali, una "i echeggiata" compaia prima di desinenze che sono aggiunte a temi con la vocale radicale i. Ciò sembra aver corso seguendo le consonanti r, l, ed n. Forse l'idea di Tolkien è che queste consonanti fossero in qualche stadio palatalizzate seguendo i. Più tardi, le risultanti consonanti palatali *rj, *lj, *nj volsero in ri, li, ni a fronte di desinenze, la qualità palatale della consonante separandosi da essa e manifestandosi come una distinta vocale i.
          Interpretando [t]iriel "che mira" a questa luce, tale forma può not argomentare contro la teoria per cui i verbi primari dovrebbero regolarmente avere participi in -el (< -ilâ), e.g. *madel "che mangia" (il quale, sebbene attestato in Noldorin pre-Etim, deve tuttora essere asteriscato come forma Sindarin). Questo è il sistema usato nelle nostre Coniugazioni Suggerite. La fonologia suggerisce che la più lunga desinenza -iel debba comparire solamente quando tale desinenza participia sia da annettersi a radici verbali in -ir, -il- ed -in-. Effettivamente tutti i rilevanti verbi trovati nel corpus pubblicato hanno temi in -ir: a parte tir- "guardare, fissare" stesso, essi sono fir- "morire, svanire", gir- "tremare", e glir- "cantare, recitare poemi" (citato come "glin" in Etim, voce GLIR, ma come tale radicale indica, "glin" è un travisamento per la forma infinita *gliri). I loro participi attivi sarebbero quindi *firiel, *giriel, *gliriel (così nelle nostre Coniugazioni Suggerite).  

Il Participio Perfetto (oppure, Passato Attivo)

Il Sindarin ha (almeno) un participio senza diretto equivalente inglese. Scrisse Tolkien in RGEO:73, "Effettivamente la forma usata nell'inno [vale a dire, A Elbereth Gilthoniel] è palandíriel (part. passato), 'che ha mirato da lungi'." Nelle Lettere:427, egli parimenti definisce tale forma come un "participio passato 'che ha mirato da lungi'." Mentre il termine "participio passato" è sovente usato per riferirsi ai participi passivi, la traduzione che Tolkien offre indica che qui si sta discutendo un participio passato attivo. Nei "frammenti Noldorin" pre-Etim pubblicati in Parma #13 vi sono riferimenti ad un "participio passato attivo" (PE13:131), sebbene la sua forma in tale versione iniziale di "Noldorin" sia a stento valida in Sindarin vero e proprio. Qui si utilizzerà il termine alternativo participio perfetto riferito a participi che esprimono l'idea di "aver fatto" qualcosa.
          Palandíriel (compitato palan-díriel in SdA) incorpora una forma lenita del verbo tir- "guardare, fissare, mirare (verso)". Rimuovendo il prefisso palan- "in lungo e in largo" e annullando la lenizione di t in d si lascia [t]íriel come il participio "che ha fissato, che ha mirato". Solamente la vocale radicale allungata (í piuttosto che i) distingue tale forma da [t]iriel "che osserva", discussa sopra. (In RGEO:73, Tolkien affatto esplicitamente contrappone il "part[icipio] passato [attivo]" palandíriel col "participio presente" palandiriel; in una nota a pié pagina fa rilevare che quest'ultimo ha un "corto dir" invece del lungo -dír- del participio passato attivo.) In alto si teorizzava che in [t]iriel, la desinenza vera e propria sia giusta -el, una -i- extra comparendo prima di essa meramente a causa dell'ambientazione fonologica. Comunque, [t]íriel "che ha mirato" può ben contenere una genuina desinenza più lunga -iel, la quae apparirebbe in tal forma qualunque sia il tema verbale aggiunto. La forma [t]íriel vs. la radice verbale tir- sembrerebbe suggerire che il participio perfetto di un verbo di tal fatta sia formato per allungamento della vocale radicale ed aggiungendo -iel. Tale processo è reminiscenza di come il perfetto d'un tal verbo sia formato in Quenya: la vocale radicale è allungata e la desinenza -ie è annessa. La forma perfetta di tir- in Quenya sarebbe *tírie od aumentata *itírie, "ha guardato". Affatto verosimilmente, Tolkien intendeva la desinenza -iel vista nei participi perfetti Grigio-elfici come correlata alla desinenza perfetta Quenya -ie; la finale -l potrebbe essere un residuo dell'antica desinenza participia *- (che si manifesta come -la in Quenya e come -l nei Noldorin participi attivi, e.g. glavrol "balbettante" discusso sopra).
          A parte [t]íriel, si può avere un participio perfetto più attestato: il secondo elemento del nome Gilthoniel. Tale nome è tradotto "Stellaccenditrice" (gil- indicando "stella"), ma Tolkien in certi punti insiste sul fatto che il nome Gilthoniel sia in qualche modo una forma passata. Nelle Lettere:278 scrive che Elbereth Gilthoniel significhi "Elbereth che accese Stelle (al passato: il titolo appartiene alla preistoria mitica e non si riferisce ad uno stato permanente)". In RGEO:72, la traduzione interlineare fornita recita semplicemente "O Elbereth Stella-accenditrice", ma alla medesima pagina, Tolkien tradusse Elbereth Gilthoniel anche come "Elbereth che accese le stelle" (enfasi aggiunta). Può Gilthoniel contenere un participio perfetto così che significhi, letteralmente, *"(che) che ha acceso stelle"? In conformità con MR:388, il radicale originale "accendere" era than- (oppure thân-). Se si assume l'esistenza di un verbo Sindarin *than- "accendere", il suo participio perfetto dovrebbe invero essere *thóniel in conformità con il sistema qui ricostruito (accorciato -thoniel in un composto come Gilthoniel)? L'allungamento della vocale radicale, se è invero comparabile all'allungamento visto nelle forme perfette Quenya, sarebbe così antico che predaterebbe la modifica dalla â lunga alla ó lunga nel ramo Noldorin/Sindarin (tale modifica è esplicitamente menzionata nelle Etimologie, voce THÔN). Quindi il più antico *thâniel- derivato da un radicale than- dovrebbe risultare come *thóniel in Sindarin. Parimenti, verbi primari con le vocali radicali e ed o dovrebbero mostrare í ed ú (rispettivamente) al participio perfetto, dacché è questo il modo in cui ê ed ô lunghe risultavano in Sindarin. Quindi emerge il seguente sistema:
car- "fare", participio perfetto *córiel "che ha fatto"
heb- "tenere", participio perfetto *híbiel "che ha tenuto"
nor- "correre", participio perfetto *núriel "che ha corso"
Quanto alla modifica della -e- in -í (< antica ê lunga), il verbo orthel- "coprire con un tetto, schermare in alto" deve essere oservato specialmente: quando -thel- diviene -thíl- al participio perfetto, ci si dovrebbe aspettare che la í che qui emerge causi umlaut al prefisso or- in er-, così che "che ha coperto con tetto" sarebbe *erthíliel (più antico *örthíliel).
          I verbi primari con la vocale radicale i mostrano semplicemente í lunga al participio perfetto, come nella forma attestata [t]íriel fa tir-, dacché la î lunga rimase immutata allo stadio che vide le lunghe â, ê, ô divenire ó, í, ú, rispettivamente.
          Tale sistema ricostruito è usato nelle mie Coniugazioni Suggerite. Dovrebbe essere notato, però, che in MR:388 Tolkien afferma che la desinenza -iel ricorrente nel nome Gilthoniel è una mera "desinenza femminile" – non una desinenza participia. Ma dacché egli sltrove insiste sul fatto che il vocabolo Gilthoniel descrive uno che ha acceso stelle "al passato" (Lettere:278), rimane allettante collegare tale -thoniel con il "participio passato [attivo]" [t]íriel (Letters:427). Può essere che Tolkien, fedele alla sua abitudine, trattenesse forme reinterpretate pure dopo che erano state pubblicate. Sembra che verosimilmente almeno talvolta (!), Tolkien interpretò il nome Gilthoniel come contenente un participio perfetto "che ha acceso". Ad ogni modo, la forma [t]íriel non può con ogni possibilità includere alcuna desinenza femminile; questa deve essere vista come un participio perfetto (passato attivo).
          Come discusso sopra, verbi primari con radici in -ir (ed -il, -in, se ve n'è alcuno) sembrano assumere la lunga desinenza -iel (invece della sola -el) al participio presente, siccome una -i- extra che riecheggia la vocale radicale compare prima della semplice desinenza participia -el. Nel caso di tali verbi, solo la lunghezza della vocale distingue i participi presenti ed i perfetti, come dimostrato dalla coppia attestata [t]iriel "che guarda" vs. [t]íriel "che ha guardato". Osservare, dunque, queste distinzioni:
*firiel "morente, evanescente" vs. fíriel "che è morto, che è svanito"
*giriel "tremante" vs. gíriel "che ha tremato"
*gliriel "cantante, recitante" vs. *glíriel "che ha cantato, che ha recitato"
In conformità con il sistema qui ricostruito, altri verbi primari non giungerebbero così prossimi a coincidere al participio perfetto, e.g. *madel "che mangia", ma *módiel "che ha mangiato". Se *thóniel indica "che ha acceso", tale forma confermerebbe che tutti i participi perfetti assumono la desinenza -iel; qui la i non fa eco alla vocale radicale (come potrebbe concepibilmente essere il caso in [t]íriel). Contrasta con il semplice participio (presente) attivo "che accende", il quale dalla ricostruzione dovrebbe essere *thanel (< *thanilâ).
          Dacché [t]íriel e con ogni possibilità -thoniel (for *thóniel) sono i soli esempi attestati di participi perfetti, e ambedue sembrano essere formati da temi consonantici, non si può esser certi di come i ben più numerosi verbi con radici in A- si comporterebbero in tal forma. Comunque, in alto si teorizzava che la desinenza -iel può originare dalla medesima desinenza perfetta -ie che è ben nota dal Quenya + un resto dell'antica desinenza participia -. Se tali assunti sono plausibili, si può guardare al Quenya per ulteriori evidenze: com'è aggiunta la desinenza -ie alle radici in A- in quel linguaggio?
          Basilarmente, la desinenza -ie sembra spodestare una finale -a. Il Quenya lantie "caduto" e lantier "caddero" (LR:56, 47) sono forme del verbo lanta- "cadere" (cfr. voce DAT, DANT in Etim). Mentre Tolkien in tal caso tradusse le forme Quenya usando il passato inglese, "cadde" piuttosto che nel perfetto "è/sono caduto/i", tali forme sembrano essere esempi del perfetto in -ie. (Quanto alla traduzione resa, Tolkien affermò "le forme di passato e perfetto divennero progressivamente più strettamente associate in Quenya" - WJ:366.) Se la desinenza perfetta Quenya -ie è invero correlata alla desinenza -iel che si manifesta nei participi perfetti Sindarin, si può teorizzare che -iel, quando aggiunta a verbi con tema in A-, rimpiazzerebbe la -a finale della radice verbale. Così per un verbo come trasta- "tormentare" (TARAS), le Coniugazioni Suggerite presentano il participio perfetto *trestiel "che ha tormentato". Qui, non può esservi allungamento dell'originale vocale radicale, dacché essa è seguita da un gruppo di consonanti. Non ci si aspetterebbe tale allungamento neppure prima delle singole consonanti th e ch, dacché esse discendono da gruppi più antichi, e.g. bath[a]- "calpestare" da battô (BAT): tali gruppi erano ancora presenti al tempo in cui l'allungamento avrebbe avuto corso.
          Ove la vocale radicale non può essere allungata (e quindi resa immune da umlaut), ci si aspetterebbe che la i della desinenza -iel causasse umlaut alla vocale della precedente sillaba, perciò *trestiel vs. trasta-. La vocale o dovrebbe parimenti volgere in e (arcaico ö), e.g. *elthiel (più antico *ölthiel) "che ha sognato" dal verbo oltha- "sognare". Il Participio Perfetto di bath[a]- "calpestare" sarebbe *bethiel "che ha calpestato"; lach[a]- "fiammeggiare" corrisponderebbe a *lechiel "che ha fiammeggiato".
          Nel caso delle radici in A- delle "Coniugazioni Miste", ove non v'è gruppo consonantico che segue la vocale radicale, il caratteristico allunggamento di tale vocale (vista nel nostro esempio attestato [t]íriel "che ha guardato") potrebbe presumibilmente trovar luogo. Ci si dovrebbe quindi aspettare di vedere la medesima modifica a, e, o > ó, í, ú, rispettivamente, come predetto nei verbi di base. Il verbo groga- "provare terrore" (WJ:415) corrisponderebbe quindi a *grúgiel "che ha provato terrore"; aphada- "seguire" corrisponderebbe a *aphódiel "che ha seguito" (< *ap-pâtiel-).
          Una sfida speciale è data dai verbi che originariamente terminavano in -, che diviene -ia in Noldorin/Sindarin. Qui l'umlaut della I- causato dalla desinenza ha neutralizzato la vocale del radicale al quale la desinenza era aggiunta. Se tale radicale originale aveva a, o, u, il verbo Noldorin/Sindarin mostrerebbe e. Esempi dalle Etimologie includono berio "proteggere" da BAR, erio "salire" da ORO, e delio "celare" da DUL: le forme ancestrali di tali verbi, prescindendo dalla desinenza infinita -o, possono essere date come baryâ, *oryâ and *dulyâ (Tolkien stesso citò la forma baryâ). Se il radicale originale aveva e, il verbo Noldorin/Sindarin dovrebbe preservarla immutata. Non sembrano esservi esempi attestati, ma se il Quenya perya "dimezzare" (radicale PER) avesse un affine N/S, sarebbe certamente *peria- (infinito in stile Etim- *perio). Pure il radicale d'un verbo di tal fatta could anche be *PAR, *POR, or *PUR, dacché la prima vocale della desinenza -ia neutralizza la precedente vocale radicale ad ogni modo. (Il Sindarin Arcaico mostrerebbe comunque ö piuttosto che e dove il radicale avesse la vocale o od u: la forma più antica di delio è data come "doelio" = dölio [DUL], ed erio dovrebbe parimenti discendere da *örio [ORO].)
          Il problema è che la desinenza -iel denotante il participio perfetto dovrebbe verosimilmente rimpiazzare l'intera desinenza - > -ia (così come la desinenza perfetta -ie sembra rimpiazzare -ya in Quenya), e la vocale radicale può allora essere allungata proprio come nel caso dei verbi primari. Essendo lunga, non dovrebbe avere umlaut. Ci si deve dunque ricollegare al radicale originale per conoscere quale vocale dovrebbe apparire nel participio perfetto. Dove l'originale vocale radicale era a, il participio perfetto dovrebbe avere ó. Per esempio, beri[a]- "proteggere" corrisponderebbe a *bóriel "che ha protetto" (tema BAR; participio derivato da *bâriel-). D'altra parte, ove la vocale radicale originale era o oppure u, ci si aspetterebbe che il participio perfetto Sindarin abbia di che mostrare ú, e.g. eri[a]- "salire" vs. *úriel "che è salito" (tema ORO, participio derivato da *ôriel-). Similmente con deli[a]- "nascondere, celare" vs. *dúliel "che ha celato", in quanto la radice originale era DUL. Prima che in Medio Sindarin la ö fondesse con e in Sindarin Classico, tali verbi erano più facili da distinguere dai verbi in -ia ch'erano derivati da radicali con la vocale radicale a, come beri[a]- sopra. Pure già in Medio Sindarin non vi sarebbe distinzione tra verbi in -ia derivati da temi con la vocale radicale A e verbi similari derivati da radicali con la vocale E, se alcuno ne esiste. Ciononostante, i loro Participi Perfetti dovrebbero verosimilmente differire. Se si assume *peria- come l'affine del Quenya perya "dimezzare", il participio perfetto "che ha dimezzato" verosimilmente sarebbe *píriel, per *pêriel-.
          Nel caso del verbo genedia- "computare", il prefisso ge- è una forma con umlaut di go- (per il quale vedere alla voce in Etim). La parte -nedia del vocabolo rappresenta il più antico *notyâ, così l'originale vocale radicale o ha anche subito umlaut. Il participio perfetto si dovrebbe formare da *-nôtiel-, e qui il prefisso non sarebbe con umlaut: *gonúdiel "che ha computato".
          Dove il verbo contiene un dittongo, come breith[a]- "esplodere d'improvviso", nuitha- "arrestare" o nautha- "concepire", la veduta presentata nelle Coniugazioni Suggerite è che esso non subisca modifica al participio perfetto (breithiel, nuithiel etc.) La sola eccezione può essere dove ei rappresenta il più antico a, e.g. teili[a]- "giocare" e seidia- "mettere da parte" dai radicali TYAL, SAT (see VT42:19-20 riguardo quest'ultimo). Questo è uno sviluppo eccezionale; normalmente ci si aspetterebbe teli[a]-, *sedia- con e piuttosto che ei (e nel caso di teili[a]-, Tolkien elencò pure teli[a]-). Con tutta possibilità i participi perfetti dovrebbero essere formati da *tyâliel- e *sâtiel-, perciò *tóliel "che ha giocato" e *sódiel "che ha messo da parte". Se così, gleina- "delimitare, recingere, limitare" (< *(g)lanyâ) dovrebbe parimenti avere il participio perfetto *glóniel (< *(g)lâniel-). Tale verbo è alquanto strano; come affine del Telerin glania- (data alla medesima fonte), ci si aspetterebbe *gle(i)nia- con la piena desinenza -ia (VT42:8; comparare i commenti dell'editore in VT42:28, nota 13). Pure tale incertezza può non influenzare la forma del participio perfetto.
          Nel caso di verbi bisillabi in -uia o semplicemente -ia, come pui[a]- "sputare", thui[a]- "respirare" e thi[a]- "sembrare" (PIW, THÛ, THÊ), si assume che la desinenza -iel debba parzialmente fondersi col tema verbale stesso, risultando in forme come *puiel, *thuiel, *thiel.
          Tale ragionamento soggiace alle forme presentate nelle Coniugazioni Suggerite, però dovrebbe essere reiterato che [t]íriel "che ha guardato" e forse -thoniel ?"che ha acceso" (in Gilthoniel) sono i soli esempi attestati del participio perfetto Sindarin. Si tenta di risolvere le implicazioni del sistema generale di Tolkien, ma per necessità, le "regole" qui presentate rappresentano una montagna di estrapolazioni tenute sospese da un capello del materiale conosciuto di Tolkien. Il Participio Perfetto è in definitiva una delle caratteristiche più poveramente attestate della grammatica Sindarin.
          Taluni hanno assunto che l'apparente carenza d'un distinto tempo perfetto in Sindarin può essere ovviata usando costruzioni che coinvolgono il participio perfetto, e.g. *i Edhel túliel "l'Elfo [è] essendo-giunto" per "l'Elfo è giunto". La costruzione come tale è abbastanza plausibile, ma rimane completamente inattestata.

Nota sulle forme plurali dei participi attivi: In Noldorin in stile Etim, così come in Sindarin proprio, al momento non vi è evidenza di sorta riguardo alcuna forma plurale dei participi attivi (presenti o perfetti). In Noldorin/Sindarin gli aggettivi regolari concordamo in numero [genere, N.d.T.], ed i participi sono di base aggettivali. Così un participio come glavrol "balbettante" ha una distinta forma plurale, usata a descrivere più che un "balbettante" individuale? Un vocabolo di tal conformazione dovrebbe avere la forma plurale *glavroel data la sua storia fonologica (-ol, che rappresenta il più antico *-aul ed ancora il più antico *-âl-, pluralizzerebbe come -oel, e non vi sarebbe umlaut nel resto del vocabolo). Participi in -el and -iel avrebbero forme plurali in -il, con umlaut della I- anche nella sillaba precedente oppure per tutto l'intero vocabolo. In "Antico Noldorin" pre-Etim (non il medesimo AN di Etim) Tolkien menzionava madel pl. medil come forme del participio "che mangia" (PE13:131). Tali forme potrebberp concettualmente essere valide anche in Sindarin (rappresentando in preistorico Sindarin *matila e *matili, a loro volta da *matilâ e *matilâi allo stadio più antico). Pure non si può essere sicuri del fatto che i participi attivi Sindarin concordino affatto in numero. I participi Quenya in -la, affine alla desinenza Sindarin, non sembrano concordare in numero nel tardo poema Markirya.

Il Participio Passato (Passivo)

Alla voce DUL in Etim, Tolkien elenca il passato daul "nascose", e quindi va avanti menzionando il "p.p." (participio passato o passivo) dolen, "nascosto". Se si rammenta che au tende a divenire o nei vocaboli polisillabici, tali esempi suggeriscono che il participio passato passivo è formato aggiungendo -en alle forme passate, e tale teoria sembra attagliarsi assai bene al materiale. La forma dangen "ucciso" dovrebbe quindi essere formata da *danc, passato di degi (tema *dag-) "uccidere" (il passato più antico ndanke è menzionato alla voce NDAK). In conformità con la fonologia stabilita, l'-nc di *danc diviene -ng- (tecnicamente -ññ-) tra due vocali, perciò dangen piuttosto che **dancen. (Comparare, per esempio, il verbo tangado "render fermo", il primo elemento del quale è un affine del Quenya tanca "fermo"; vedere alla voce TAK.) Il vocabolo prestannen "influenzato" sembrerebbe un participio passato passivo dalla sua glossa, e può spiegarsi con successo come formato da *prestant, il passato del verbo presto "influenzare" (PERES): -nt- intervocalico diviene -nn-; comparare il Quenya kentano "vasaio" col suo affine Noldorin cennan (TAN). Se, come teorizzato sopra, la maggior parte delle radici in A- termina in -ant al passato, participi passati in -annen saranno assai comuni. (Se sog[a]nnen alla voce SUK non è il passato []sogant "bevvi" con la desinenza pronominale -n "io" annessa, può essere il participio passivo "bevuto". Tolkien non glossa chiaramente questa forma come tale. In ogni caso, pare che nel caso di radici in A-, il participio passivo sg. e la 1a persona passata sg. coinciderebbero nella forma.)
          In alto si citavano i participi [t]irnen e [s]ollen (forme lenite in Talath Dirnen "Piana Vigilata", Fen Hollen "Porta Chiusa") come prova indiretta per le forme passate *tirn "vigilato" e *soll "chiuso". Tali participi suggerirebbero che verbi primari in -r ed -l abbiano forme passate in -n ed -l, rispettivamente, tali forme passate soggiacendo ai participi attestati.
          Come regolari aggettivi in -en (come malen "giallo", pl. melin - voce SMAL), i participi passivi hanno forme plurali in -in, combinate con normale umlaut della I- in tutto il vocabolo. Quindi si ha dangen "uccidere", pl. dengin (come in Haudh-en-Ndengin "Colle dell'Uccisione" ["Tumulo di Massacro" nell'edizione italiana, N.d.T.], per citare la compitazione usata nel Silmarillion). Vi è anche ("Eboennin" =) Ebönnin come la forma plurale di Abonnen "Dopo-nati" (WJ:387). Incidentalmente, Ebönnin dovrebbe essere Sindarin arcaico o "Medio", prima che ka ö si fondesse con e; ai giorni di Frodo gli Efi avrebbero detto *Ebennin.
          Sebbene i participi passati in -en sembrino comportarsi esattamente come i numerosi aggettivi in -en per quanto riguarda formazioni plurali, può essere notato che tali desinenze non sono realmente affini. Alla voce THUR in Etim, Tolkien chiama thoren il "pp." (participio passato/passivo) di thoro "cingere". Egli deriva thoren dal più antico tháurênâ, il quale sembra essere un'antica forma passata *tháurê con la desinenza aggettivale o participia - ad essa aggiunta (come argomentato sopra, il passato contemporaneo di thoro "cingere" sarebbe *thaur). Perciò, la vocale della desinenza -en è in origine la finale -ê che originariamente ricorreva in tutte le forme passate (tuttora preservata come -e in Quenya), laddove la -n è quel che rimane della desinenza -. D'altra parte, la comune desinenza aggettivale -en rappresenta il più antico -ina (allo stadio più antico -inâ), la finale -a causando umlaut sulla -i- [che muta, N.d.T.] in -e- prima che fosse perduta. Per esempio, Tolkien derivò malen "giallo" dal più antico malina, a sua volta discendente da smalinâ (Etim, voce SMAL). Destando interesse, i participi passivi Quenya tipicamente ricevono la desinenza -ina, e si potrebbe pensare che la desinenza Sindarin ne sia una diretta affine, ma non sembra essere questo il caso. Né i participi passivi Quenya son formati da forme passate.

NOTA: il 19 Ottobre 2003, in una lettera alla lista Elfscript, Carl F. Hostetter scrive riguardo tale spiegazione dell'origine dei participi passati Noldorin/Sindarin: "Discordo con tale asserzione in qualificata. Questo -en può anche esser sorto da *-inâ, e quindi essere affine della desinenza participia passata Quenya -ina esibit da forme Quenya relativamente tarde tali come rákina 'rotto', ecc" (MC:223). Comunque, i participi passati passivi Quenya sono affatto differenti nella forma. Se si presume che, diciamo, il verbo *dag- "uccidere" (inf. degi da radice NDAK, LR:375) aveva il participio passato Antico Noldorin **ndákina per accompagnarsi ad una forma Quenya come rákina, allora la forma posteriore del participio passato dovrebbe essere stata (**daugen >) **dogen, ma la forma attestata è dangen! Oltre a ciò, in Quenya la desinenza -ina è annessa anche a verbi con radice in A-, che risultano in un dittongo ai come in hastaina "guastato" (MR:254). Se si tentasse di applicare tale sistema ad un verbo come prest[a]- "influenzare", così che il participio passivo Antico Noldorin fosse stato **prestaina, allora la forma tarda dovrebbe essere stata o **prestoen (in Noldorin in stile Etim) o **prestaen (in Sindarin). La forma attestata è prestannen! Presumibilmente Hostetter avrà di che concordare che i participi passivi Noldorin/Sindarin non possono in tutta possibiltà essere diretti affini delle formazioni Quenya; le forme N/S sono indiscutibilmente formate da verbi passati. Ma se lo comprendo correttamente, egli argomenta che proprio la desinenza -en può ben essere un diretto affine della desinenza Quenya -ina. Comunque, la forma thoren, che Tolkien definì esplicitamente un "pp." (participio passato/passivo), egli egualmente la derivava esplicitamente da tháurênâ (EtIm, voce THUR). Ciò indica che almeno in tal caso, la desinenza -en discende da -ê (antica desinenza passata) + (di base un'antica desinenza aggettivale). Per quanto posso vedere, di tutti i participi passati passivi Noldorin/Sindarin attestati può spiegarsi con successo che sono formati dal medesimo modello: si ha a che fare con antiche forme passate a cui fu annessa la desinenza -. La consonante della desinenza -en è quel che rimane di - dopo la perdita delle vocali finali, laddove la vocale di -en è la vocale in cui tutte le forme passate terminavano precedentemente (in Quenya, tutti i preteriti terminano tuttora in -e). Mentre è vero che anche *-inâ produrrebbe il Noldorin/Sindarin -en (la â finale causando umlaut della i in e prima d'esser perduta), non vedo la necessità di assumere arbitrariamente che tale desinenza fosse dapprima presente quando si ha un modello attestato che è egualmente capace di spiegare tutti i participi passati Noldorin/Sindarin noti.


          Per compendiare, in una prospettiva sincronica le regole per come sono formati i participi passati passivi può essere stabilita così: la desinenza -en è annessa al tempo passato. In concordanza con la fonologia generale, i finali -nc, -nt, -mp divengono -ng- (i.e. -ññ-), -nn-, -mm- rispettivamente quando intervocalici: le forme passate *danc, *prestant, dramp (DARÁM) pertanto corrispondono ai participi dangen, prestannen, *drammen (la forma drammen è effettivamente data alla voce DARÁM, ma evidentmente questa è la 1a persona passata "sbozzai" piuttosto che il participio passivo "sbozzato"; comunque, i due probabilmente coinciderebbero nella forma). Sebbene non si abbiano espliciti esempli, la fonologia generale dice che forme passate in -nd, -ng (sc. ñg, se ve ne fosse alcuna), e -m (più antico -mb) mostrerebbero anche -nn-, -ng-, -mm-, rispettivamente, prima della desinenza -en. Per esempio, gwend come un passato di gwed[h]- "legare" corrisponderebbe al participio passivo *gwennen "legato". Forme passate che includano il dittongo au mostrano o al participio passivo (daul "celò" vs. dolen "celare"). Le forme plurali mostrano umlaut della I- lungo tutto il vocabolo, così che a diviene e (dangen pl. dengin) ed o diviene ö, più tardi fondendosi con e (Abonnen pl. Ebönnen, ma più tardi *Ebennin). Comunque, la o derivata da au non sarebbe influenzata (così la forma pl. di dolen "celato" deve essere *dolin piuttosto che **delin; comparare daul come il passato "celò").
          L'esempio Abonnen "Doponati" (pl. Ebönnin > *Ebennin) può anche illustrare un'altra regola. Ignorando il prefisso ab- "dopo", la forma onnen che significa "nato" (o forse piuttosto *"generato") può ben essere il participio passivo di *onna-, l'altrimenti inattestato affine Sindarin del Quenya onta- "generare, creare" (LR:379 s.v. ONO; osservare che la medesima radice è menzionata in WJ:387 ove la forma Abonnen è citata - Tolkien chiama Abonnen una "formazione participia" da tale tema). Se *onna- ha il passato *onnant (come avrebbe in conformità con le regole che si è tentato di ricostruire), il suo participio passivo sarebbe *onnannen in conformità con le regole suggerite in alto, ma può sembrare che tale ingombrante forma sia contratta fondendo le due doppie nn ed omettendo la vocale tra esse. Perciò onnen come in Abonnen. Un sistema simile è impiegato in tutte le nostre Coniugazioni Suggerite; l'aplologia in generale sembra essere un fenomeno frequente nell'Elfico di Tolkien. Così sebbene "scandire" sia linna- ed il passato "cantò" sarebbe presumibilmente *linnant, si suggerisce *linnen piuttosto che ?linnannen come il participio passivo "scandito" (ed anche la 1a persona passata "scandii", la quale dalla nostra ricostruzione dovrebbe coincidere col participio passivo nella forma).

Il Gerundio

In Sindarin i gerundi funzionano come sostantivi verbali (come le loro controparti inglesi in -ing). Elementarmente sostantivi astratti, alcuni di essi possono assumere un significato più concreto, come hammad "veste" (apparentemente riferito ad effettivi indumenti piuttosto che "[all'atto di] vestirne" qualcuno). Ma essendo derivati da verbi, i gerundi sono anche in grato di prendere un oggetto diretto.
          I gerundi Noldorin/Sindarin sembrano terminare o in -ad oppure in -ed. La prima desinenza è usata nel caso di radici in A-. Il vocabolo hammad "che veste" appena menzionato sembra connettere al verbo ham[m]a- "vestire" (in LR:363 s.v. KHAP tale verbo è citato come "hamnia-", ma questo è trasparentemente un travisamento del manoscritto di Tolkien; una tal forma sarebbe affatto incompatibile con la fonologia stabilita del linguaggio). Il verbo eitha- "punzecchiare; insultare" si vede corrispondere ad un gerundio o sostantivo verbale eithad (WJ:365: "il più grave eithad" = insulto). Il toponimo Cabed-en-Aras "Salto del Cervo" ricorrente nel Silmarillion include cabed "salto". Questo è ovviamente da connettersi al tema KAP- "saltare" elencato in Etim, ed il Sindarin evidentemente ha un verbo elementare *cab- "saltare". Sembra anche esservi un verbo *cen- "vedere, guardare" (come in Quenya); il suo gerundio cened appare, composto, nel vocabolo cenedril "specchio" (RS:466). Nel Noldorin delle Etimologie, si ha [g]onoded "che conta" come gerundio di gonod- "sommare" attestato nel composto aronoded "innumerevole" (voce NOT). Sembra che aronoded sia letteralmente "senza (oppure, oltre) conteggio": alla voce AR2- è fatto riferimento al prefisso ar- "senza" (comparare arnediad, esplicitamente tradotto "senza computo" alla medesima voce; tale vocabolo è assai simile, sia in struttura che in significato, ad aronoded). Il prefisso ar- apparentemente causa lenizione, perciò l'iniziale g- di [g]onoded lenisce fino ad annullarsi in aronoded.
          Perché le radici in A- hanno gerundi in -ad, laddove i verbi elementari apparentemente hanno gerundi in -ed? Sembra che i gerundi Sindarin discendano da primitive forme in -ta (o ad uno stadio pure più antico, -). Ove tale desinenza fosse da annettersi ad un verbo di base, una vocale -i- fu introdotta prima della desinenza (come al presente, o con ogni possibilità aoristo, della medesima classe di verbi). Simili formazioni possono funzionare come infiniti in Quenya, come in karita i hamil mára "non fare quel che giudichi buono" (VT42:33). Se la forma karita esisteva anche nel Sindarin preistorico, dpvrebbe regolarmente evolvere nel Sindarin classico *cared (l'originale -a final causando umlaut della -i- in -e- prima d'essere perduta, e la t postvocalica divenendo d). Le forme attestate cabed "salto, *saltando", cened "che guarda" e -noded "che conta" possono fiduciosamente essere riferite alle più antiche *kapita, *kenita, *notita. D'altra parte, dove la desinenza -ta era annessa ad una radice in A-, l'umlaut della A- non poteva cambiare la vocale finale di tale tema (già identica alla vocale che causa l'umlaut), così tutto quel che avvenne più tardi fu la regolare perdita della -a finale e la sonorizzazione della -t in -d. Perciò i gerundi delle radici in A- semplicemente terminano in -ad, la -a essendo parte del tema verbale e la -d essendo ciò che è rimasto della più antica desinenza -ta.
          Può obiettarsi che alla voce ÑGAW in Etim, è citato quel che somiglia ad un verbo di base gaw- "ululare", epperò Tolkien alla medesima voce andò avanti elencando il vocabolo gawad "ululante". Proverrebbe da *ñgawata. Perché non *gawed per il più antico *ñgawita, se gaw- è un verbo elementare? Con ogni possibilità l'assai comune desinenza -ad aveva iniziato ad estendersi ai anche verbi di base (per analogia). Comparare la desinenza passata -ant (propriamente appartenente soltanto ai verbi con radice in A-, la sua vocale -a- essendo parte del tema verbale) che inizia ad estendersi ai verbi elementari, come discusso in alto. Ma è anche possibile che gaw- sia semplicemente un'incompleta annotazione della radice in A- *gawa- "ululare". Tale verbo è così trattato nelle nostre Coniugazioni Suggerite, ed il gerundio gawad è la prova più importante di tale assunto.

Può anche essere notato che "gaw-" sarebbe il solo verbo di base noto in -w, e se si tenta di coniugarlo in conformità col normale sistema, risulterebbe qualche forma più o meno esotica. Se il più antico passato di *ñgaw- era formato per infissione nasale, perciò *ñganwe, se ne avrebbe il Medio Sindarin *ganw ed il Sindarin Classico *ganu! (Per l'infissione nasale prima della -w, comparare l'antico passato Quenya anwe vs. la radice AWA, WJ:366.) Tendo a credere che se Tolkien aveva qualcosa di così esotico in mente, ne avrebbe redatta un'esplicita nota nelle Etimologie. Nelle nostre Coniugazioni Suggerite, gaw[a]- si presume appartenga alle Coniugazioni Miste, l'antico passato *ñgawne = *ñgaune rendendo il Sindarin *gaun, o con desinenze *gone-.

          La Lettera Reale contiene diversi esempi di gerundi o sostantivi verbali in -ad. Prescindendo dal prefisso ge-, la forma genediad "computo" (usata = "calendario") sembra essere il gerundio del verbo nödia ("noedia") elencato alla voce NOT in Etim. Ai primi della Quarta Era quando la Lettera si suppose esser stata scritta, la ö era lunga sino a che divenne e (comparare arnediad "senza computo" alla voce AR2 nelle Etim stesse; tale forma contiene nediad come il gerundio di *nedia-, tarda forma di nödia-). Destando interesse, i gerundi sono ripetutamente usati come infiniti nel testo della Lettera Reale: E aníra ennas suilannad mhellyn ín phain, "egli desidera salutare colà tutti i suoi amici", e aníra tírad i Cherdir Perhael "egli desidera vedere Mastro Samvise". Si può pensare che questo sia letteralmente *"egli desidera salutare tutti i suoi amici", *"egli desidera vedere Mastro Samvise" - come se le forme in -ad siano realmente sostantivi verbali. Ma quest'analisi farebbe del sostantivo verbale il reale oggetto della proposizione, e quindi esso dovrebbe essere stato lenito (come l'oggetto di una frase Sindarin regolarmente sembra essere). Si sarebbe visto **e aníra huilannad mellyn ín phain (suilannad piuttosto che mellyn lenito). Ma dacché Tolkien effettivamente lasciò suilannad non lenito e invece lenito mellyn (come mhellyn = vellyn), si deve probabilmente concludere che suilannad qui funziona come un regolare infinito, ed è mellyn, come logico oggetto della proposizione, che è lenito. Come sopra notato, i gerundi Sindarin discendevano da forme in -ta, e Tolkien tradisse una tal forma come un infinito in una frase Quenya (karita "non fare, VT42:33). Ci si deve inevitabilmente chiedere se gli infiniti in -i ed -o che sono esemplificati nelle Etimologie appartengano soltanto a quello stadio concettuale, e siano una caratteristica del "Noldorin" che non sopravvisse nelle riflessioni di Tolkien sul Sindarin vero e proprio. In qualche modo, i gerundi sarebbero più chiari e meno ambigui di tali infiniti: tutti gli infiniti Noldorin in -o cozzano con le forme imperative dei medesimi verbi (sebbene a malapena siano molto difficoltosi da distinguere nel contesto). Quanto agli infiniti in -i, l'umlaut di I- della vocale radicale che lo causa può talvolta avere come risultato la confusione, dacché tale umlaut neutralizza sia la a che la o in e (e lascia l'originale e immutata). Per esempio, *ceni è l'infinito di cen- "vedere, guardare" o can- "chiamare"? Se esistesse un verbo *con-, anche il suo infinito sarebbbe *ceni. D'altra parte, i gerundi rimarrebbero distinti: *cened "che vede" vs. *caned "che chiama" (e se vi fosse invero un verbo *con-, il suo gerundio sarebbe *coned). Così anche a parte l'incerto status degli infiniti Noldorin in -o ed -i in Sindarin vero e proprio, vi possono essere buone ragioni per chi scrive per usare invece i gerundi.
          Incidentalmente, suilannad "salutare" sembra includere il gerundio di anna- "dare"; perciò "dare (un) saluto" o "che dà un saluto". Posteriormente nel testo, suilad è usato per "saluto"; questo può sembrare presupponga un verbo più semplice *suila- "salutare". Quanto a tírad, tradotto "vedere", è ovviamente formato dal tema TIR "guardare", ma tírad può a stento essere formato dal verbo elementare tir- come tale (*tirita dovrebbe aver prodotto invece *tired); piuttosto tírad sembra presupporre una radice in A- più lunga *tíra-, ma non si può escludere l'altro. Vedere l'Appendice B.
          Infine può essere notato che verbi con radice in A- in -ada sembrano avere gerundi, non in **-adad, ma semplicemente -ad (evidentemente per aplologia). Alla voce RAT- in Etim, Tolkien elencò un verbo athrado "traversare" (evidentemente una radice in A- athrad[a]- con infinito in -o). Quindi menzionò il vocabolo athrad "attraversamento", che in origine può essere un gerundio o sostantivo verbale che connette a tale verbo, sebbene fosse anche usato in un senso concreto: "guado".  

Verbi Speciali

Si discuteranno alcuni verbi che sembrano comportarsi in modi peculiari.

Radici in U-: taluni verbi che in Sindarin contemporaneo mostrano la vocale -o- sono derivati da temi che avevano invece U. Per esempio, il verbo sogo "bere" viene (almeno in conformità con le Etimologie) da una radice SUK-. Ad uno stadio, la vocale corta u era mutata in o nella maggior parte delle posizioni. Ma per qualsivoglia ragione, ciò non avvenne prima di consonanti nasali - ed in Eldarin, il passato è sovente formato per infissione nasale. Pertanto, il passato di sogo (< *sukâ-) è dato come sunc (< *sunkê). L'originale qualità della vocale radicale è qui preservata nel passato con nasale infissa.
          Si è già notato che Tolkien altrove (VT39:11) elencò la radice per "bere" come SOK piuttosto che SUK, così forse il passato "bevve" potrebbe anche semplicemente essere *sonc. Pure il modello esemplificato da sunc può presumersi essere valido come tale, e quindi si applicherebbe anche alle forme passate con nasale infissa d'altri verbi derivati da temi che hanno la vocale U:

*tog- "condurre, portare" > pa. *tunc (radice TUK)
nod- "legare, fissare" > pa. *nunt (radice NUT)

La radice verbale tog- può dedursi dalla 3a sg. tôg elencata alla voce TUK; altrimenti Tolkien elencò tale verbo nella forma infinita tegi, con una desinenza infinita che causò umlaut alla vocale radicale in e. Il verbo "legare, fissare" è effettivamente elencato come nud- alla voce NUT in Etim, ma questo deve essere un errore, di Tolkien o del trascrittore, per nod-, la forma richiesta dalla fonologia generale. Alla voce , Tolkien dichiarò esplicitamente che le antiche radici "not- contare, nut- legare si fusero in Esule [Noldorin] *nod-"; quindi spiegò che il verbo "contare" si distingueva dall'aggiunta del prefisso go- (perciò gonod-). Sembrerebbe, quindi, che il verbo "legare, fissare" sia nod- senza prefisso.

Se, come suggerito dall'esempio hennin *"io scagliai" (KHAT), la forma passata dei verbi elementari usa la vocale connettiva -i- prima di desinenze, cose interessanti avverebbero nel caso di verbi con radice in U-. Poiché, com'è dimostrato da hennin vs. la forma priva di desinenza hant *"scagliò" (elencata anche sotto KHAT), la vocale -i- causa umlaut alla vocale radicale. In tali verbi - i soli verbi ad avere forme passate che preservino l'originale -u- come vocale radicale - l'umlaut volgerebbe tale vocale in -y-. Da *nunt "legò" e tunc "portò" ci si dovrebbe quindi aspettare *nynnin "io legai" e *tyngin "io portai" (i finali -nt, -nc divenendo regolarmente -nn-, -ng- quando intervocalici).
          Anche alcuni dei verbi che devono essere assigned a quelle che avremmo definito le "Coniugazioni Miste" dovrebbero preservare l'originale vocale -u- nel passato con nasale infissa (invero il nostro esempio attestato di tale fenomeno, sog[a]- "bere", inf. sogo con passato sunc, appartiene a tale gruppo di verbi):

groga- "provare terrore" > 3a pers. sg. pa. *grunc (radice originale RUK, WJ:415)
[l]oda- "galleggiare" (Noldorin lhoda-) > pa. *lunt (radice LUT)
tob[a]- "ricoprire, coprire con un tetto" > pa. *tump (radice *TUP)
Nelle Etimologie, il verbo tob[a]- (elencato all'infinito: tobo) è derivato da un tema TOP, e quindi il passato sarebbe semplicemente *tomp. Comunque, nel canto Quenya Namárië in SdA, Tolkien sembra presupporre *TUP come la radice ElfiCa per "coprire" (il significato letterale del verbo untúpa ricorrente in questo canto è dato come "richiude sotto un tetto" in RGEO:67). Se la radice è invece *TUP, allora il passato con nasale infissa di *tob[a]- dovrebbe probabilmente essere *tump.
          Come si è dimostrato sopra, i verbi delle Coniugazioni Miste sembrano usare -e- come loro vocale connettiva prima di desinenze pronominali, e quind non vi sarebbe umlaut. Da sunc (e *grunc, *lunt, *tump) si avrebbe semplicemente *sungen "io bevvi" (e *grungen "provai terrore", *lunnen "io galleggiai", *tummen "ricoprii"): come sempre, -nc, -nt, -mp corrispondono a -ng-, -nn-, -mm- tra due vocali, ma la vocale u sarebbe immutata. Tuttavia, le forme *sungen, *grungen, *lunnen, *tummen sarebbero anche i participi passati passivi di tali verbi, e nelle forme plurali di tali participi (che terminano in -in, come nell'esempio attestato dengin "uccisi"), si dovrebbe vedere l'umlaut u > y: *Syngin, *gryngin, *lynnin, *tymmin. (Comparare a che subisce umlaut in e nella coppia attestata dangen pl. dengin.) Parimenti, *tunc e *nunt come le forme passate "portato" e "legato" corrisponderebbero ai participi passivi *tunnen, *nunnen (medesima traduzione Italiana), con forme plurali *tynnin, *nynnin.

Osservare, tuttavia, che *mudannen come participio passato del verbo mud[a]- dovrebbe probabilmente avere la forma plurale *mudennin piuttosto che ?mydennin, poiché in tal caso la u è derivata da un'antica ô lunga, mud[a]- essendo l'affine del Quenya móta- (radice ). Le vocali lunghe (originali) sarebbero immuni all'umlaut della I-. Comunque, il verbo intransitivo muda- "sgobbare, sfacchinare" può ad ogni modo non avere normalmente un participio passato.

          Tutte queste elaborazioni di certo sono un mero tentativo di elaborare quella che sembra essere la logica e necessaria conseguenza del sistema generale di Tolkien. Il lettore comprenderà che le fonti primarie forniscono soltanto cenni, come Tolkien che annota che *sogo ha la forma passata sunc. Tocca a noi trovare quali specie di forme sorgerebbero se si applicano le regole grammaticali che si è tentato di addurre, tenendo in conto quel che può esser inferito sulla fonologia designata del linguaggio. C'è da sperare di non essere qui troppo saccenti.

Altri verbi speciali sarebbero i cosiddetti verbi impersonali, verbi che dal loro significato non possono avere soggetto logico. Nel Noldorin delle Etymologies, si ha eil "piove" (ULU) e bui, quest'ultimo esplicitamente detto essere impersonale ma non glossato chiaramente (MBAW). Comunque, bui è affatto chiaramente inteso come l'affine del Quenya mauya- "costringere". Si può presumere che bui significhi "costringe", "(è) necessario", usato in proposizioni tali come *bui anim teli, "mi costringe a giungere" = "devo giungere" (come si potrebbe teorizzare che tale frase appaia in Noldorin in stile Etim).
          Quanto a eil (forma più antica "oeil" = öil) "piove", Tolkien derivò tale verbo da ulyâ, che sarebbe anche la fonte del Quenya ulya- "versare". La vocale finale di ulyâ era stata perduta, e anche l'originale y è scomparsa, ma ha causato umlaut alla vocale radicale a produrre il dittongo öi, più tardi ei.
          A questo punto, sorge una domanda: se l'antica radice in A- ulyâ risulta come eil, perché (diciamo) *dulyâ "celare" produce invece döli[a], deli[a]? (Tali radici in A- son citate in forma infinita "doelio, delio" alla voce DUL.) Perché la finale originale -â è qui preservata come -a, laddove in ulyâ > eil è andata perduta? Invero, come può il Sindarin avere tali forme presenti come penna "pende" (osservata nell'inno a Elbereth [e lì tradotta "digradano" nella versione italiana del canto, N.d.T.]) dato il fatto che ad un certo punto, il Noldorin/Sindarin è noto per aver perso tutte le vocali finali? Ci si aspetterebbe che lo sviluppo suggerito da ulyâ > eil fosse normale, ma effettivamente è altamente eccezionale.
          Dove altre forme verbali N/S terminano in una vocale, la spiegazione è semplice: tale vocale non era finale al punto in cui la perdita delle vocali finali ebbe corso. Per esempio, gli infiniti Noldorin in -i discendevano da forme più antiche in -ie (e.g. trenarie > treneri, NAR2), così la vocale finale fu invero perduta; quel che rimane è l'originale penultima vocale. La desinenza imperativa -o discendeva da una particella imperativa originariamente indipendente á (WJ:371-372); apparentemente era suffissa alla radice verbale ad uno stadio relativamente tardo e così sfuggì alla perdita delle vocali finali. Anche nel caso di forme come penna "pende", si è tentati di assumere che le vocali finali sopravviventi in qualche modo non fossero finali al tempo della perdita delle vocali finali. La soluzione a tale piccolo mistero può essere che i verbi originariamente ricevessero marcatori di 3a persona che includevano la consonante -s. Alla voce S- nelle Etimologie, si fanno riferimenti alle primitive desinenze -so oppure -se, che apparentemente significano "egli" ed "ella" rispettivamente; può anche esservi stata una desinenza *-sa "esso" (comparare il Noldorin ha "esso" menzionata alla medesima voce); il Quenya conserva anche -s come una desinenza per "egli, ella, esso". Se, come sembra, un simile marcatore di 3a persona singolare -s (con o senza una vocale che segue) esisteva anche nel Sindarin primevo, dovette posteriormente venir lenito in -h. Comparare la voce BARÁS in Etim, ove si ha l'Antico Noldorin barasa "rovente, scottante" che più tardi diviene baraha e finalmente dà il Noldorin bara, di nuovo con una vocale finale che sopravvive in quanto non era finale quando le vocali finali originali sparirono (baraha > *barah > bara). Verosimilmente, dunque, l'immediato antenato di penna "pende" era *pennah con una -h finale di breve durata la quale a sua volta deriva dalle antiche desinenze di 3a persona sg. in -s-.
          Verbi impersonali come ulyâ > eil "piove" confermerebbero indirettamente tale scenario. Precisamente in quanto tali verbi erano interamente impersonali, non avendo soggetto logico, non ricevevano il marcatore soggetto di 3a person sg. -s: sembrerebbe che diversamente da chi parla inglese, i Sindar dei tempi preistorici non intrufolino la stessa specie di soggetto-fantoccio come quello che occorre nella frase "it is raining" (["piove", N.d.T.] "it" non avendo qui reale significato). L'originale ulyâ- non ricevette desinenza che potesse "fare scudo" alla finale -â, ed alfine essa fu perduta come tutte le vocali finali, lasciando eil come la forma comtemporanea. Può assumersi, peraltro, che ove vi fossero annesse varie desinenze, l'antica -â sopravvivesse come -a- (riparata dalle desinenze), ed ulyâ- regolarmente evolvesse in *elia- (comparare, per esempio, deli[a]- da *dulyâ, voce DUL in Etim). Così come il passato di tali verbi, le nostre Coniugazioni Suggerite elencano *eliant, come futuro, *eliatha, come participio attivo, *eliol etc. Comunque, come indicato nelle Coniugazioni Suggerite, è possibile che il passato "pioveva" potesse anche essere *aul; comparare daul come un arcaico passato di *deli[a]- "celare" (la voce DUL sembra suggerire che possa essere il passato di deli[a] ed doltha- in modo simile, tali verbi avendo la medesima accezione). Il passato monosillabico *aul s'accompagnerebbe bene ad eil come presente. Incidentalmente, eil dovrebbe essere divenuto *ail in Sindarin della Terza Era, dacché il Medio Sindarin ei volse in ai dove tale dittongo ricorreva in una sillaba finale; perciò la lezione *ail occorre nelle nostre Coniugazioni Suggerite.
          L'altro verbo impersonale Noldorin, bui *"costringe, è necessario", è derivato da "mauy-" alla voce MBAW in Etim. Non può essere corretto; *mauy- produrrebbe invece il Noldorin *mui. Come indicata dall'intestazione della voce MBAW, l'effettiva forma ancestrale deve essere *mbauy-, o in forma piena *mbauyâ. Come nel caso di ulyâ > öil > eil > *ail, *mbauyâ "costringe/è necessario" era apparentemente considerato un verbo impersonale che pertanto non riceveva il marcatore di 3a persona -s-; pertanto non v'è traccia nemmeno della finale -â, non essendovi nessuna desinenza che segue a fargli scudo. Anche la -y- prima di esso se ne amndò, ma la sua precedente presenza causò umlaut della I- e mutò l'originale dittongo au in ui; perciò *mbauyâ > bui. In Noldorin in stile Etim, l'umlaut della I- regolarmente volge au in ui. Considerare, per esempio, rhaw (= *rhau) "leone" e la sua forma plurale rhui, quest'ultima essendo l'affine del Quenya rávi "leoni", la forma Quenya preservando l'antica desinenza plurale che ora si manifesta soltanto come umlaut della I- in Noldorin (vedere alla voce RAW).
          Comunque, questa è una caratteristica del Noldorin che non sopravvisse immodificata in Sindarin vero e proprio. In Sindarin, au + umlaut della I- risulta oe, non ui. Per esempio, la forma plurale Sindarin di naug "nano" è noeg piuttosto che **nuig (cfr. Nibin-noeg "Nanerottoli", WJ:187). Perciò il Noldorin bui diverrebbe *boe se aggiornato alla fonologia Sindarin, e questa è la forma elencata nelle mie Coniugazioni Suggerite. Si può certo porre in questione il valore di tali forme "aggiornate": forse Tolkien gradì il vocabolo quand'esso apparve come bui, e l'avrebbe invece rigettato del tutto quando le sue revisioni fonologiche l'avrebbero volto in *boe? Ma più verosimilmente, egli non considerò mai ciò; può aver spontaneamente creata la forma bui scrivendo le Etimologie, e non è dato sapere se mai ritornò a tale verbo. Nelle battute "Neo-Sindarin" composte da David Salo per i film di Jackson, la forma aggiornata *boe è usata ripetutamente. Per esempio, ne La Compagnia dell'Anello Aragorn dice ad Haldir: Boe ammen i dulu lín, "è-necessario per-noi il supporto di-voi" = "necessitiamo del vostro aiuto". - Se *boe abbia avuto ulteriori forme temporali non è chiaro; nessuna è elencata nelle Coniugazioni Suggerite.

Discutendo i verbi speciali, si possono finalmente menzionare pochi verbi l'esatto comportamento dei quali è incerto, in quanto le note di Tolkien sono oscure. Alla voce MBAKH nelle Etimologie, si legge: "Q manka- commerciare; makar commerciante; mankale commercio. N banc, banga." Vi sono pochi dubbi che banga sia un verbo, l'affine del Quenya manka- "commerciare", ambedue dal primitivo *mbankâ-. Ma che significa banc, la forma elencata immediatamente prima di banga? Non sembra indicare né "commerciante" (un distinto termine per "ambulante" è elencato in seguito) neppure "commercio". Può banc essere piuttosto una forma del verbo banga? Se così sarebbe il passato, usato invece della più lunga forma *bangant. Banc potrebbe essere un passato formato da infissione nasale del tema originale: il primitivo *mbank(h)ê. Le nostre Coniugazioni Suggerite presentano banc come passato banga-, ma dovrebbe comprendersi che questo è meramente un tentativo di dar senso alle brevi note di Tolkien.

Un altro verbo alquanto oscuro è elencato alla voce DAT-, DANT-. Seguendo il Quenya lanta- "cadere", il corrispondente verbo Noldorin è semplicemente citato come "dant-". L'annotazione di Tolkien è altamente ellittica. Il Quenya lanta- proverrebbe da *dantâ-, l'affine Noldorin/Sindarin del quale dovrebbe essere *danna- (così nelle nostre Coniugazioni Suggerite). Forse "dant-" è semplicemente inteso a rappresentare la forma primitiva soggiacente l'effettiva forma posteriore. È, tuttavia, interamente possibile che il passato *danna- dovrebbe essere, non *dannant, ma piuttosto *dant, formato direttamente dal tema DAT-. Se così, sarebbe in parallelo a banc come un possibile passato di banga- discusso sopra. Può essere notato che dopo aver elencato lo strano verbo "dant-", Tolkien immediatamente proseguì col citare la forma dannen "caduto". In conformità col principio generale per cui un tale participio passato sarebbe formato aggiungendo -en alla passata forma (e tenendo a mente che -nt diviene -nn- tra due vocali), dannen "caduto" potrebbe essere formato da un passato *dant "cadde". Però non si può esserne sicuri, poiché pure se il passato di *danna- fosse *dannant, il participio passato *dannannen dovrebbe probabilmente essere ancora accorciato in dannen per aplologia.

Appendice A: Il Sistema di Tempo Passato Riveduto?

In conformità con le regole ricostruite in alto, il passato del verbo car- "creare, fare" dovrebbe essere *carn (corrispondente al pa. Quenya karne, elencato nelle Etimologie, voce KAR). Comunque, in WJ:415, Tolkien fa riferimento ad "un primitivo passato" che è "marcato come tale da 'aumento' o vocale base raddoppiata, e vocale radicale lunga. Passati di tal forma erano usuali nei verbi Sindarin 'forti' o primari: come *akâra 'fece, creò' > S agor."
          Agor come passato di car- è di certo una forma piuttosto sorprendente. Sembra che car- sia invero il verbo forte o primario di riferimento; il radicale KAR può discernersi nella forma ancestrale akâra citata da Tolkien. Dacché Tolkien insiste sul fatto che tali formazioni sono "usuali" in questa classe di verbi, si deve tentare di generalizzare alcune regole. Per citare il mio articolo principale Sindarin: "la vocale ricorrente nel verbo è prefissa, ma nella radice verbale stessa, a, e, o sono alterate in o, i, u, rispettivamente (rappresentando la "lunga vocale radicale" â, ê, ô, dacché la qualità di tali vocali lunghe era modificata in Antico Sindarin). La vocale i non dovrebbe cambiare. La consonante iniziale dovrebbe subire mutazione palatale quando una vocale è prefissa ad essa, p > b, t > d, c > g (perciò agor da car-), b > v, d > dh, g > zero, m > v, s > h. (Le consonanti f, th dovrebbero essere invariate.)" Da tale sistema si avrebbero forme come *ebid "parlò" (ped- "parlare"), *ewidh "legò" (gwed[h]- "legare"), *idir "osservò" (tir- "osservare"), e *onur "corse" (nor- "correre").
          Prima di desinenze pronominali, la vocale connettiva -e- s'insinua, come nella forma della Veste di Turin agorech (a prescindere da qual significato aveva il pronome -ch quando Tolkien scrisse ciò).

NOTA: Carl F. Hostetter argomenta che prima della sillaba aggiuntiva che è annessa quando una vocale connettiva ed una desinenza pronominale sono suffisse, la vocale precedentemente lunga nella sillaba che precede dovrebbe rimanere lunga (e.g. *idíren piuttosto che *idiren per "oservai", a causa del fatto che la forma più antica sarebbe *itîr-). (Incidentalmente, Hostetter argomenta anche che la vocale connettiva prima del suffisso pronominale può non essere sempre -e-, ma l'analogia dovrebbe certamente operare in tal direzione.) L'esempio attestato agorech (invece di **agórech) che egli dismise in quanto qui si vedrebbe au ad uno stadio intermedio tra l'originale â lunga e la tarda o: akâra- > *agaur- > agor-. Apparentemente egli percepisce che au fu direttamente monottonghizzato in o, senza considerare la possibilità che dapprima divenisse una lunga ó (più tardi accorciata, come sarebbero state altre vocali lunghe). Una tal vocale lunga probabilmente esisteva ad uno stadio; comparare ónen per "ho dato" nel linnod di Gilraen secondo molte edizioni di SdA. Tale ó è comunemente intesa rappresentare un più antico au, che da ultimo rappresenta una â lunga nel linguaggio primitivo. Ad ogni modo, l'accorciamento delle vocali precedentemente lunghe nei vocaboli polisillabici è un fenomeno comune sebbene non universale in Noldorin/Sindarin. Vi sono alcuni casi ove una vocale mantiene la sua precedente lunghezza, e.g. nel nome Tin(n)úviel "Usignolo", che Tolkien nelle Etimologie (voce TIN) derivò da Tindômiselde. Il fatto che la vocale di Tinnúviel riceva l'accento principale in un composto lungo può aver aiutato a preservare la sua lunghezza originale. Ma la tendenza è piuttosto ad abbreviare le vocali lunghe nei vocaboli polisillabici; comparare il Noldorin hiril "dama" con la forma Antico Noldorin khíril (dal pure più antico *khêrill-, comparare l'originale radice KHER). Un altro esempio sarebbe milui "amichevole" vs. la radice MEL; per avere la sua qualità alterata Da E in I, la vocale-radice deve essere stata ad uno stadio più antico una ê lunga, che inizialmente dava una lunga î la lunghezza della quale non sopravvive in milui. Se Hostetter argomentasse che milui è verosimilmente un aggettivo derivato in tempi più recenti dal sostantivo correlato mîl "amore, affetto" (< *mêl-), allora milui dimostrerebbe tuttora l'accorciamento delle vocali lunghe nei vocaboli polisillabici: analogia col sostantivo tenderebbe a preservare la vocale lunga, ma ciò non avviene, indicando una forte tendenza ad abbreviare vocali in vocaboli più lunghi. Nel caso dei verbi, anche l'analogia con le forme non suffisse (la 3a persona sg., o in terminologia Hostetteriana le forme "impersonali") avrebbe una forte influenza: mentre Hostetter ad un certo punto sembrava argomentare che la vocale precedentemente lunga potesse rimanere lunga pure nella sillaba finale d'un vocabolo, ora insiste [sul fatto, N.d.T.] che questo non era quel che realmente intendeva; lui ed io apparentemente conveniamo che *itîr- di per sé darebbe *idir piuttosto che *idír con la lunga vocale intatta. Così se *idir è invero una possibile traduzione di "osservò" (e questo è lungi dall'esser certo - vedere in basso), allora penso che ci sarebbero buonissime ragioni d'aspettarsi *idiren piuttosto che *idíren per "osservai", sebbene la vocale nella penultima sillaba fosse lung ad uno stadio più antico. Una disamina del materiale Noldorin indica che in vocaboli polisillabici, lunghe vocali raramente occorrono al di fuori di composti un elemento dei quali ha una vocale lunga quando ricorre da sé (come un monosillabo).

          Ma come anche io rilevo nel mio articolo principale Sindarin, tale sistema sembrerebbe contraddire altre fonti. I tempi passati di ped- e gwed[h]- sono attestati come pent ed gwend, rispettivamente (vedere la nostra discussione dei tempi passati sopra). Tali forme son da considerarsi concettualmente obsolete? D'altronde, questo dove lascerebbe i participi passati passivi che apparentemente sono formati aggiungendo -en al passato? Il vocabolo [t]irnen per "vigilato, osservato" (lenito in Talath Dirnen "Piana Vigilata") non presuppone *tirn come passato di tir-? Sicuramente non vi sono evidenze che Tolkien considerò mai d'alterare tale nome in *Talath Idirnen per accompagnarsi a *idir come "nuovo" passato di tir-! Però se car- "fare" deve avere il passato agor, "fatto" dovrebbe essere *agoren o *carnen (quest'ultimo presupponendo *carn come pa. "fece"?) Evidentemente seguendo il modello di [t]irnen vs. il verbo tir-, David Salo usò *carnen nelle battute che ha costruite per i film di Jackson (in Le Due Torri, la versione filmica di Aragorn ad un certo punto dice mae carnen "ben fatto" ad un cavallo).
          In tal caso, le intenzioni di Tolkien non possono essere ricostruite con tutta fiducia. Forme passate "fossilizzate" possono soggiacere ad alcuni participi, così che l'antico passato *tirn "vigilata, osservata" (= il Quenya tirne) sopravviva in un participio come [t]irnen, laddove il passato vivo di tir- è piuttosto *idir? Tuttavia, agor rimane il solo esempio attestato di tal sorta di passati, sebbene Tolkien asserì che tale formazione sia "usuale" nei verbi primari. Però che significa "usuale"? Che era il sistema regolare o almeno dominante, o meramente che era relativamente comune? Finché non sarà disponibile più materiale, accetterei agor come il passato di car- ma altrimenti userei il sistema passato ricostruito sopra (e.g. *tirn piuttosto che *idir come il passato di tir-).

Appendice B: Una Distinzione Tra Aoristo e Tempo Continuativo?

Almeno nel caso dei verbi di base, il Quenya è in grado di operare una distinzione tra il tempo aoristo ed il presente o presente continuativo. Perciò il verbo sil- "splendere" ha la forma aoristo silë "splende", laddove nella forma presente o continativa, il medesimo verbo appare invece come síla; ciò può essere tradotto "è splendente", enfatizzando la natura in-atto dell'azione verbale. L'aoristo semplicemente descrive l'azione verbale senza qualificare la sua durata, e può sovente riferirsi ad azioni momentanee od abituali o descrivere eventi in "tempo proverbiale". È possibile maintenere una simile distinzione in Sindarin, almeno nel caso dei verbi primari, o il Sindarin possiede meramente un singolo tempo "presente"? Non si hanno prove definite nell'uno o nell'altro caso. Si possono considerare soltanto i verbi primari. In prospettiva diacronica, quel che è denominato tempo presente appare come l'affine dell'aoristo Quenya. [P]êd (VT41:11) come quel che si è chiamato il presente di ped- "dire, parlare" sembrerebbe discendere da *kweti, che sarebbe anche l'origine dell'aoristo Quenya quete. Parimenti, tôg come forma di 3a persona singolare (presente) di tegi "portare" è probabilmente inteso come discendente di *tuki, che darebbe l'aoristo Quenya *tuke "egli traccia" (1a persona tukin *"traccio" elencata alla voce TUK in Etim). In Quenya, la forma "continuativa" dei verbi primari è derivata dall'allungamento della vocale radicale ed aggiunta della -a, e.g. síla "è splendente" da sil-. Vi è qualche prova per tali formazioni in Sindarin? Può essere notato che il verbo síla è attestato non soltanto in Quenya (come in elen síla lúmenn' omentielvo), ma anche in un contesto Sindarin nel Canto di Lúthien (menel-vîr síla, evidentemente *"[il] gioiello del cielo è splendente", riferito alla luna). Se il verbo elementare sil- è comune a Quenya e Sindarin, il suo presente Sindarin sarebbe *sîl in conformità con le regole ricostruite sopra. Possono *sîl e síla effettivamente coesistere nel linguaggio, come l'aoristo ed il continuativo, rispettivamente? Se così, tali forme corrisponderebbero al Quenya silë e síla (di nuovo rispettivamente). Altrimenti, la sola possibile evidenza per le forme continuative si trova nella Lettera Reale. La forma aníra "desidera" che ivi occorre potrebbe concepibilmente essere la forma continuativa d'un verbo *anir-, perciò più letteralmente *"sta desiderando", ma l'esatta derivazione ed etimologia di aníra sono incerte. La Lettera Reale fornisce anche il gerundio/infinito tírad "vedere". Questo è ovviamente correlato al verbo tir- "osservare, vigilare". In conformità con le regole ricostruite sopra, tir- dovrebbe avere il gerundio *tired (ad accompagnare forme attestate tali come cabed, cened, [g]onoded). Può tírad essere effettivamente formato da *tíra come una forma continuativa di tir-? Se così, e aníra tírad i Cherdir Perhael "egli desidera vedere il Mastro Samvise" effettivamente implicherebbe *"egli desidera stare a vedere il Mastro Samvise", enfatizzando la natura continuativa dell'azione? (Le nostre Coniugazioni Suggerite elencano tíra e tir- come voci separate, senza discutere se queste siano due forme del medesimo verbo o distinte formazioni dal radicale primitivo TIR.) È alquanto sfortunato che le possibili attestazioni delle formazioni continative (síla ed il gerundio tírad) coinvolgano verbi formati da radici con la vocale radicale i (SIL, TIR); questo può anche essere il caso di aníra, se invero vi appartiene. L'allungamento della vocale radicale nelle forme continuative avrebbe di che essere antico se tale tratto distintivo grammaticale fosse da condividersi tra Quenya and Sindarin, e laddove l'antica î lunga potesse sopravvivere in Sindarin con la sua originale qualità invariata, le più antiche â, ê, ô volgerebbero in ô, î, û allo stadio corrispondente all'"Antico Noldorin" delle Etimologie (quel che Tolkien potrebbe più tardi aver chiamato Sindarin preistorico). Anche l'originale û sopravvivrebbe con la sua qualità originale intatta, laddove la u corta volgerebbe in o ad uno stadio iniziale. In breve, radici verbali con la vocale radicale a avrebbero forme continuative in ó, radici con la vocale e mostrerebbero continuative í, e temi con la vocale o (se originale o derivata dalla primitiva u) avrebbero ú nelle forme continuative. Esempi di possibili distinzioni aoristo/continuative:
mad- "mangiare": aoristo *mâd "mangia" (< *mati), continuativo *móda "sta mangiando" (< *mât-)
ped- "dire": aoristo pêd "dice" (< *kweti), continuativo *pída "sta dicendo" (< *kwêt-)
nor- ?"correre": aoristo *nôr "corre" (< *nori, se la radice è *NOR), continuativo *núra "sta correndo" (< *nôr-)
tol- "giungere": aoristo tôl "giunge" (< *tuli), continuative *túla "sta giungendo" (< *tûl-)
Soltanto le radici verbali con la vocale i l'allungherebbero semplicemente al continuativo, come sil- "splendere" che ha la forma aoristo *sîl e forma continuativa síla *"è splendente".
          Se la forma tírad ricorrente nella Lettera Reale è invero il gerundio di una radice continuativa *tíra- (come contrapposto al più semplice tema tir- "vigilare, vedere, osservare"), si deve assume che tutte le forme "continuative" sopra elencate potrebbero anche produrre gerundi distinti. Si avrebbero distinzioni come *maded "che mangia, mangiare" (< *matita) vs. * módad "mangiare (continuo), stare mangiando" (< *mâtata). Concepibilmente i temi continui potrebbero anche essere usati come basi di distinte forme al passato e futuro, e.g. *módant "stava mangiando" (vs. *mant "mangiò"), futuro *módatha "starà mangiando" (vs. *meditha "mangerà"), e forse pure distinti participi attivi (e.g. *módol < *mâtala vs. *madel < *matila). Sarebbe difficoltoso mantenere la distinzione al Participio Perfetto, peraltro.
          Comunque, tutto ciò è assai ipotetico. Al momento, ci sono poche o nessuna prove concrete per una distinzione aoristo/continuativo in Sindarin, e mentre *tíra- è data come una voce separata nelle nostre Coniugazioni Suggerite, nessuna esplicita forma continuativa è elencata - dacché sarebbero pure più ipotetiche di molte delle forme che ivi appaiono.

Appendice C: Fonologia Sindarin Riveduta?

Il sistema qui delineato dipende da certe caratteristiche della fonologia. Si è fatto ripetutamente riferimento alla regola per cui quando i finali -nc, -nt, -mp divengono intervocalici giacché qualche desinenza è annessa, tali gruppi volgono in -ng- (tecnicamente -ññ-), -nn-, -mm-, rispettivamente. Quindi si ha, diciamo, dangen "ucciso" dalla forma passata *danc, prestannen "influenzato" dalla forma passata *prestant, o drammen *"sbozzavo" dalla forma passata priva di desinenza dramp (Etim, voci NDAK, PERES, DARÁM). Come si dimostrerà in basso, non possono esservi molti dubbi che ciò rappresenti accuratamente le idee di Tolkien sulla fonologia Noldorin/Sindarin che teneva in mente quando effettivamente scrisse SdA (e prima ancora, le Etimologie).
          Però in VT42:27, che riproduce un testo tardo, Tolkien insiste sul fatto che nella sorta di Sindarin che veniva usato come linguaggio di sapienza in Gondor, -nc, -nt, -mp finali divennero -nch-, -nth-, -mf- (sc. le spiranti ch, th, f seguendo una nasale); posteriormente tali gruppi erano sovente pronunciati come ñ, n, m (che possono essere rappresentate come , hn, hm) lunghe non vocalizzate. Per di più, è detto che "nel vero Sindarin degli Elfi o degli Amici degli Elfi la forma finale [presumibilmente si intende -nc, -nt, -mp] era spesso introdotta in posizione mediale". Ciò scombinerebbe appieno il sistema delineato sopra. Le forme (attestate!) dangen, prestannen, drammen sarebbero quindi piuttosto o *danchen, *prestanthen, *dramfen (più tardi pronunciate *dahñen, *prestahnen, *drahmen con nasali afone), oppure - "nel vero Sindarin degli Elfi" - *dancen, *prestanten, *drampen.
          È questa un'idea durevole o "autorevole" di Tolkien nell'evoluzione dei suoi linguaggi? Nth intervocalico ricorre nel verbo "glintha-" in WJ:337 (che riproduce una fonte post-SdA), ma nelle nostre Coniugazioni Suggerite si preferisce la lezione *glinna-, sebbene questa potrebbe ben discendere da glintha- in Sindarin preistorico (lo stadio corrispondente all'Antico Noldorin delle Etimologie). L'idea che il più antico -nt- (via -nth-) divenga -nn- allo stadio classico del Noldorin/Sindarin è un'idea di lunga data. Si può considerare un esempio tale come il primitivo winta- che dà l'Antico Noldorin wintha- ed il (classico) Noldorin gwinna- (vedere alla voce WIN-, WIND- in Etim). All'ultimissimo - nel tempo esterno -stadio del Noldorin esemplificato in PM:135, che riproduce le prime stesure di Tolkien per le appendici a SdA, tale idea era ancora valida: considerando un vocabolo per "caduta" (autunno), Tolkien dapprima scrisse Dant, ma poi decise di aggiungere la desinenza -as, ed il vocabolo risultante è Dannas (non "Danthas" o "Dantas"). Alcuni fanno notare che alla medesima fonte, Tolkien anche sperimentò la forma Dantilais e cita quessta come evidenza del fatto che l'nt intervocalico è possibile, ma Dantilais è trasparentemente un cosiddetto "composto improprio" (non un giudizio di valore): è realmente la frase *Dant i lais "Caduta delle foglie" scritta senza spazi piuttosto che un genuino vocabolo unitario.
          Più importante, un verosimile esempio di nt intervocalico che diviene nn appare nel testo pubblicato di SdA stesso, il che (da una certa prospettiva) dovrebbe elevare tale caratteristica della fonologia Sindarin allo status canonico, pure se Tolkien presenta idee contraddittorie in fonti posteriori. Il vocabolo in questione è ann-thennath, che Aragorn menziona come il nome di un verso Elfico nel capitolo Un coltello nel buio nel Libro Primo de La Compagnia dell'Anello. Ann-thennath è probabilmente da interpretarsi come "lunghi-corti", riferito a certi modelli di unità ritmiche lunghe e corte. In ogni caso l'elemento thent (che probabilmente indica "corto" come nel Noldorin delle Etim, vedere alla voce STINTÂ) ricorre anche nel nome di un altro verso Elfico, il Minlamad thent/estent (WJ:311). Se, come sembra irrefrenabilmente probabile, il thennath di ann-thennath è thent con la desinenza plurale -ath annessa, allora la regola per cui nt intervocalico diviene nn deve essere considerata canonica e fissata, ed il sorprendente sistema descritto in VT42:27 può essere dismesso come un caso (lungi dall'essere senza precedenti) in cui Tolkien dimentica quel che aveva già detto od insinuato nelle fonti pubblicate.
          Un altro possibile esempio di -nt- intervocalico che diviene -nn- in SdA stesso può essere il vocabolo govannen nel saluto di Glorfindel ad Aragorn: Mae govannen, "benincontrato" (tradotto nelle Lettere:308). La visuale presentata nelle Coniugazioni Suggerite è che esistesse un verbo *govad- "incontrare" (go-vad- *"andare assieme", comparare Etim-Noldorin trevad- "attraversare" o più letteralmente "attraverso-andare" = *tre-vad-; vedere alla voce BAT e comparare TER). Il suo passato sarebbe *govant. Aggiungere la desinenza participia -en e tenendo in debito conto la speranzosamente regolare modifica di -nt- in -nn- tra due vocali condurrebbe invero a govannen come il participio passato "incontrato".
          Può essere anche notato che in conformità con il sistema esposto in VT42:27, l'ultima parole del nome Haudh-en-Ndengin ricorrente nel Silmarillion avrebbe di che essere alterata o in *(n)denchin oppure in *(n)dencin. Tenderei ad ascrivere ad uno stato semi-canonico i nomi occorrenti nell'edizione pubbliCata del Silmarillion, seppure Tolkien stesso non produsse o pubblicò una versione definitiva di tale opera in vita sua. Come si è appena visto, la modifica dell'nt intervocalico in nn ha corso in una fonte canonica, e quindi coerenza fonologica richiederebbe che -nc- intervocalico divenga -ng- (i.e. -ññ-) nella medesima posizione. Parimenti, mp dovrebbe divenire mm quando intervocalico.
          Altri hanno anche osservato che le idee manifestantisi in VT42:27 siano in certi aspetti difficili da riconciliare con le informazioni che Tolkien aveva già pubblicate in SdA. Per esempio, d'improvviso si ha Tolkien che insiste sul fatto che la ll mediale di vocaboli come mallorn effettivamente rappresenti lh non vocalizzata; tale compitazione è ipoteticamente ispirata dalla "maniera del moderno gallese". Già l'editore del documento in questione, Carl F. Hostetter, indicava che ciò è "in forte contrasto con il precedente commento di Tolkien nell'Appendice E a Il Signore degli Anelli" (VT42:31) - dacché in quell'Appendice, Tolkien insinuava che ll fosse semplicemente una lunga o doppia l.
          Per di più, la nuova idea di Tolkien circa nc, nt, mp intervocalici che evolvono in nasali sorde , hn, hm renderebbero tali suoni relativamente comuni in Sindarin, laddove nell'Appendice E egli avesse affermato che le nasali non vocalizzate "fossero d'assai rara occorrenza nei linguaggi coinvolti" (evidentemente incluso il Sindarin). Può sembrare che il sistema esposto in VT42:27 rappresenti sperimentazioni selvagge piuttosto che un insieme di idee particolarmente autorevoli o ben ponderate, ed esso probabilmente contraddice quel che Tolkien aveva reso implicito nelle fonti canoniche già pubblicate da egli stesso - a meno di adottare lezioni assai speciali dei passaggi in questione, od assumere arbitrariamente che a certi vocaboli siano da assegnarsi nuove etimologie.
          L'accademico può tentare di mappare diligentemente ogni sviluppo concettuale nello scenario evolvente di Tolkien, senza alcuna considerazione per la coerenza interna (che non è la mansione accademico/descrittiva del linguista da compiere). Comunque, almeno per come le cose appaiono ora, penso che il linguista pratico che accetti il compito (sovente ingrato) di suggerire come il Sindarin possa essere normalizzato dovrebbe piuttosto mantenere il sistema osservato in numerose fonto: se i gruppi -nc, -nt, -mp divengono intervocalici, volgono in -ng-, -nn-, -mm-. Nel linguaggio classico esse non risultano come nasale + spirante, né come nasali sorde, e tanto meno esse sono preservate immutate. Le nostre Coniugazioni Suggerite sono basate su tale assunto.

Appendice D: "3a Persona" o Forme "Impersonali": una Questione di Terminologia

Carl F. Hostetter, questo sempre diligente critico di tale articolo, ha messa in dubbio la terminologia qui usata. Egli presentò i commenti seguenti sulla lista Lambengolmor:
Fauskanger ripetutamente si riferisce ai verbi passati in -nt come a "3a pers. sg." (in alcuni casi "trasparentemente"). Alla luce di ciò, è degno di nota che nessuno dei verbi Noldorin di tal forma che si trova nelle Etimologie è tradotto con glosse specificamente di 3a persona sg.; all'infuori di un'esplicita dichiarazione di Tolkien che tutti i verbi passati Noldorin in -nt sono specificamente 3a pers. sg., non v'è di fatto alcun modo di provare quel che Fauskanger silenziosamente asserisce. Di fatto, dado quel che si sa circa le forme di verbo impersonali nelle lingue Eldarin [...] e sulla base delle prove che effettivamente si hanno, è di gran lunga più verosimile che tali forme siano forme singolari impersonali, e pertanto sarebbero utilizzate in ogni caso in cui un soggetto esplicito, singolare preceda il verbo. Invero, lo stesso vale per i verbi passati Sindarin in -nt, perché quantunque teithant sia invero usato da Tolkien con un soggetto di 3a pers. sg. (Celebrimbor ... teithant 'Celebrimbor ... tracciò'), questo in sé non necessariamente preclude il suo possibile uso come un verbo impersonale con soggetti di 1a e 2a persona, non più di quanto l'uso di verbi al presente privi di desinenza in Quenya con soggetti di 3a pers. sg. precluda il loro uso con altre persone singolari, come in elye hiruva 'tu troverai" (ove il soggetto è di 2a sg.). Invero, un altro di tali verbi, echant, è usato da Tolkien con un soggetto di 1a pers. sg., e tradotto come tale: Im, Narvi, ... echant 'Io, Narvi, ... feci'.
Prima di tutto, dovrebbe essere notato che tale "controversia" ha a che fare solo con quale terminologia sia meglio usare descrivendo il sistema verbale Sindarin; non vi è (in tal caso) alcun disaccordo su come il sistema verbale effettivamente funziona.
         Hostetter è indubitabilmente nel giusto [sul fatto, N.d.T.] che un verbo Eldarin, dove ricorra senza desinenze pronominali, è strettamente parlando "impersonale" piuttosto che specificamente appartenente alla 3a persona. Si ha a che fare con le forme finite "di base" del verbo. Ove il soggetto è un pronome e tale pronome non è annesso direttamente al verbo come un suffisso, ma appare come un vocabolo indipendente, allora è usata la forma "impersonale" - non importa a quale "persona" il pronome appartenga. Se il pronome è singolare, il verbo non riceve affatto desinenza (come nell'esempio a cui Hostetter si riferisce: Im ... echant "Io... feci"). Se il pronome è plurale, allora il verbo probabilmente riceverebbe il marcatore plurale -r; tale sistema è attestato in Quenya (come in emme avatyarir "noi perdoniamo", VT43:8, 20).
          Però a tali verbi può convenientemente riferirsi come a verbi di "3a persona", dacché tipicamente occorrono con un sostantivo come loro soggetto, e tale sostantivo è pensato come di "3a persona" in quanto potrebbe essere rimpiazzato da un pronome di 3a persona. Questa è terminologia propria di Tolkien: una forma verbale come tôg (Etim, voce TUK) tipicamente si tradurrebbe in Italiano come "guida", una forma di 3a persona sg. Italiana. Si potrebbe dire, per esempio, *Narvi tôg (e/o forse *tôg Narvi) per "Narvi guida". Però tale verbo è per la terminologia di Hostetter sicuramente una forma "impersonale" dacché non ha marcatori pronominali, ed invero potrebbe probabilmente essere combinata con ogni pronome indipendente (sg.) a prescindere dalla "persona" cui il pronome appartiene (e.g. la prima persona se si riscrive l'iscrizione al Cancello di Moria come *im, Narvi, tôg "Io, Narvi, guido"). Non discordo con alcuna di queste - vi è giusto un dettaglio che Hostetter dovrebbe osservare: Tolkien stesso definì tôg una forma "3 sg." nelle Etimologie, voce TUK.
          Così quel che ho fatto, in realtà ammonta solo all'applcazione della terminologia propria di Tolkien al passato così come al presente (o aoristo?). Io, come Tolkien, trovo questo un modo conveniente di riferirsi alle forme in questione, sebbene come additato da Hostetter, queste forme come tali non appartengono specificamente alla 3a persona: quando il soggetto è un pronome indipendente, tale pronome mostra la "persona" con cui si ha a che fare, laddove il verbo semplicemente non è contrassegnato a tal riguardo. In generale, si possono tuttora definire questi verbi forme di "3a persona". Denominarli "forme impersonali" perché in certi contesti essi possono fungere da ogni "persona" è come definire il caso nominativo Quenya un "caso indefinito" perché le forme "nominative" possono talvolta fungere da ogni caso: in una frase genitiva come Elendil Vorondo "di Elendil il Fedele" (UT:305) è soltanto l'ultimo vocabolo che riceve la desinenza genitiva -o, laddove il vocabolo Elendil appare in una forma che somiglia al nominativo. Il punto è che l'esplicito marcatore di caso è annesso ad un altro vocabolo (vorondo come genitivo di voronda "fedele"), ma s'applica all'intera frase. Similmente, in im... echant "Io... feci" vi è un altro vocabolo - il pronome indipendente - che mostra con quale "persona" si ha a che fare, sebbene il verbo echant somigli ad una forma di 3a persona sg.. Ciò non significa che termini come "nominativo" e "verbo di 3a persona" debbano essere scartati come inservibili ed inadeguati, da rimpiazzarsi con qualcosa come "caso indefinito/non contrassegnato" oppure "forma impersonale" di Hostetter. I termini di Tolkien descrivono la tipica funzione delle forme rilevanti abbastanza bene.

Collegamenti

Altri studi sui verbi Sindarin:

The Sindarin verb system di Thorsten Renk

The Past-Tense Verb in the Noldorin of the Etymologies di Carl F. Hostetter (un'importante fonte per la trattazione di Renk)

Ardalambion